Di lui si è tornato a parlare pochi giorni fa, per il suo improvviso passo indietro dall'agone politico delle prossime elezioni. Ma Mario Adinolfi è un personaggio poliedrico, con il quale è facile e piacevole intrattenersi parlando di politica, comunicazione e naturalmente di poker.
Ecco dunque una lunga intervista con il politico-blogger-poker player romano. Una chiacchierata densa di spunti e affermazioni interessanti, che abbiamo deciso di dividere in due parti.
Come si ricordava l'altro giorno, il tuo discorso alla Camera è stato il primo mai pronunciato in aperta difesa del poker live. Nell'articolo esprimiamo la paura che sia anche l'ultimo: il rischio è concreto?
Non credo che nel prossimo Parlamento ci saranno esponenti politici che abbiano anche passione/competenza per il poker quanta ne ho io. Attenzione però, perché quel discorso non fu fatto solo in omaggio alla passione, ma per precise ragioni politiche: nel poker, in rapporto al resto del comparto giochi, c'è carenza di competenze. C'è bisogno di un approccio significativamente capace di trarre dal comparto le sue potenzialità, e dare così al mondo del poker quello che merita.
Quel giorno fu una strana partita, in 629 contro 1. Certo, ci sono colleghi che giocano o sono appassionati, ma non hanno coraggio, passione e competenza per impegnarsi in prima persona. Il mio era dunque un tentativo di uscire dalla ghettizzazione del non-detto, cercando di trapiantare nel luogo consono (cioè dove si fanno le leggi) un elemento di caratterizzazione generazionale come penso sia il poker.
Intendi il poker come paradigma di un riscatto generazionale?
Sì, sono convinto che un elemento caratteristico e utile del poker sia proprio questo: è un settore dell'economia e della società che coinvolge quasi esclusivamente i nati dopo il 1970. Per contro, in aula a Montecitorio i nati dopo quella data sono pochissimi: ne deriva che a decidere sul poker sono attualmente persone non in grado di comprenderne a sufficienza le dinamiche.
Così questa passione può diventare un nuovo strumento, tramite il quale un'intera generazione dica al Paese “ci siamo, e vogliamo essere utili all' Italia”.
Secondo te quanto il poker live pagherà le logiche elettoralistiche dei vari schieramenti, che magari in questo periodo non vogliono inimicarsi quei settori della società che non vedono di buon occhio il nostro gioco?Una volta usciti dalla fase elettorale, durante la quale ovviamente non accadrà nulla, ogni momento potrebbe essere quello buono. Questo perchè l'azione parlamentare (non solo la mia) ha sgombrato il campo sulla regolamentazione: volendo, si potrebbe fare tutto domattina, poiché tutti gli ostacoli normativi sono stati eliminati. Quindi non è più una problematica parlamentare: la decisione è in mano ad AAMS e agli stessi operatori, che devono decidere se il poker live lo vogliono veramente.
Mettiamo caso che si parta: allo stato attuale, difficilmente le sale avrebbero margini per poter operare con profitto. Non sarebbe meglio riconoscere l'attività dei circoli e regolamentarli, in modo tale da tutelare i giocatori con regole chiare?
La mia risposta è ovviamente sì, anche se so già che così non sarà. Ripeto, se le poker room si mettono in testa di dire sì al poker live, allora tutto si muoverà più velocemente. Se avessi la bacchetta magica direi: “caro circolo, vuoi operare? Paga la licenza per X anni e parti tranquillo”. Monete e tavoli elettronici, e tutto diventa fattibile. Ma...
Alla luce di quanto affermi, per il poker non dovrebbe fare molta differenza se alle prossime elezioni vincesse Bersani, Berlusconi, Monti o qualcun altro...
Esatto, non cambia nulla. Anzi, cambia solo se i pokeristi italiani si mettono in testa di darsi una struttura, organizzarsi e interloquire con il palazzo.
C'è dunque un problema di strutturazione e comunicazione, nel poker italiano? Ne parleremo insieme a Mario Adinolfi domani, nella seconda parte di questa intervista che troverete online in mattinata.