Indiscrezioni autorevoli raccolte da Assopoker confermano la trattativa dell’anno che vede PokerStars intenzionata ad acquisire Full Tilt Poker, con l’avvallo del Dipartimento di Giustizia. Nel board della red room c’è ottimismo sull'esito dell'affare che dovrebbe chiudersi entro due settimane.
Dall’Isola di Man non trapela nulla, ma le mancate smentite hanno già fatto il giro di tutto il mondo. C’è addirittura chi si spinge oltre e dà l’accordo vicino alla conclusione. La prudenza però deve essere massima: anche la vicenda Tapie ha confermato che l’operazione è tecnicamente complessa, soprattutto da un punto di vista legale ci sono condizioni difficili e rischiose da accettare per gli acquirenti.
Annullata audizione AGCC
Notizia fresca che testimonia il ritiro di Tapie dalla scena: l’AGCC ha annullato l’audizione del 3 maggio per riattivare la licenza Orinic Ltd, società del gruppo Full Tilt Poker. Il manager francese aveva anche assunto in queste settimane nuove figure ed il figlio Laurent stava coordinando le operazioni da Dublino.
Rake lordo
In molti sono ancora scettici sul prezzo che PokerStars dovrebbe versare per l’acquisizione di Full Tilt Poker: si parla di 750 milioni di dollari. Per quale motivo Stars sarebbe intenzionata a pagare così tanto una room che, secondo stime recenti, produceva un rake lordo di circa 30 milioni di dollari al mese negli States (con investimenti nel marketing che sfioravano i 20 milioni)?
Investimento a lungo termine
All'apparenza potrebbe sembrare un buon affare ma ragionando sui margini netti, l'investimento potrebbe essere ammortizzato solo dopo molti anni. D'altronde bisogna cancellare dalla nostra memoria l'immagine "faraonica" costruita ad arte in questi anni dalla precedente gestione che utilizzava anche i soldi dei giocatori seguendo una pratica illegale e non consentita. Cioè Full Tilt Poker dava di sé un'immagine che non corrispondeva alla realtà ed i nodi sono venuti al pettine.
Prezzo giusto?
La risposta è semplice: il prezzo non è determinato da logiche di mercato, seppur la red room sia stata la rivale numero uno. Stars sta trattando da un anno con il Dipartimento di Giustizia per la multa contestata negli USA pari a 1,5 miliardi di dollari. Ci sono in ballo anche le posizioni del fondatore, nonché proprietario al 75%, Isai Scheinberg e del manager Paul Tate, entrambi rinviati a giudizio. Guarda caso, il prezzo da pagare per l’acquisizione di Full Tilt Poker sarebbe la metà dell’importo della multa contestata. Con quei soldi, la room dell’Isola di Man chiuderebbe un accordo transattivo con il Dipartimento USA, evitando multe e processi. Al tempo stesso, si sbarazzerebbe della concorrente numero uno, rimborsando tutti i giocatori e salvando anche l’immagine del poker online mondiale. Un successo su tutti i fronti, seppur ad un prezzo salatissimo.
Perché Tapie si è ritirato?
Nonostante vari contratti preliminari sottoscritti, Bernard Tapie non è riuscito a definire l’accordo conclusivo, come mai? Vi sono due ragioni: di natura legale e non solo. L'accordo con il DoJ sarebbe stato valido solo per gli Stati Uniti ma non per qualsiasi altra giurisdizione straniera e Full Tilt Poker, come ha spiegato lo stesso Tapie, ha i suoi interessi economici esclusivi e le sue aziende, in Europa e nel resto del mondo. Inoltre i giocatori potevano esercitare il loro diritto di recesso entro 90 giorni, dal rimborso e questa condizione era troppo rischiosa per il gruppo.
Rimborso parziale
Da circa tre mesi era in corso una trattativa serrata con il Dipartimento USA: il finanziere francese aveva presentato il suo piano di rilancio che consisteva nel rimborsare il 95% dei giocatori circa (i pesci più piccoli) nella prima fase. Per il restante 5% (ma che rappresentava una percentuale importante del debito), Tapie avrebbe messo a disposizione solo il saldo sui conti gioco, ma tali fondi non potevano essere prelevati subito. In poche parole i players avrebbero dovuto giocarseli prima di poter fare cash out, con un complicato sistema di ‘sblocco’.
Colpo di scena
Da questa proposta è scaturita una trattativa fiume: gli azionisti più in vista (Ferguson, Bitar e Lederer) spingevano per garantire ai giocatori un consistente anticipo prelevabile dai conti. Il manager francese però è stato irremovibile (ed ha spiegato nel comunicato ufficiale le sue riserve sull'accordo con il DoJ): senza alcune garanzie legali non era disposto a garantire un esborso immediato così rilevante. Tapie puntava sul fatto che non vi erano altre alternative ma qui ha commesso un errore fatale: in realtà, da circa un mese il DoJ stava trattando con PokerStars (questa voce circolava da alcune settimane negli Stati Uniti), fino al colpo di scena finale.
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