Matteo Renzi, due anni fa, si rivelò il primo oppositore dichiarato della “Web Tax” o “Google Tax”, ideata e voluta da Francesco Boccia (presidente della Commissione Bilancio). Il premier ha cambiato idea ed ha annunciato:
"Dopo aver aspettato due anni una legge europea, dall’1 gennaio 2017 immaginiamo una digital tax che vada a colpire. con meccanismi diversi, per far pagare tasse nei luoghi in cui sono fatte transazioni e accordi”.
La Gran Bretagna nel gambling, ha introdotto quest’anno un nuovo criterio: “il punto di consumo” che ha “incastrato” tutte le società di betting britanniche con sede a Gibilterra. Per il Governo inglese se la scommessa è stata “piazzata” all'interno dei confini UK, i bookmakers devono versare il 15% sul profitto lordo all'erario di sua Maestà.
Lo stesso vuole fare Renzi, ma su larga scala, per colpire Google, Facebook e gli altri colossi della web economy. Ma la Digital Tax potrebbe ancor di più complicare il quadro normativo italiano in materia di gioco online e fisco.
Filosofia
Renzi ha spiegato la ratio legis: ”I grandi player dell’economia digitale mondiale che per me sono dei miti, come Apple e Google, hanno un sistema per cui non pagano le tasse nei luoghi dove fanno business: allora noi siccome stiamo aspettando da due anni che ci sia una legge europea abbiamo deciso di attendere tutto il primo semestre del 2016 attendendo l’Ue, ma da questa legge di stabilità già immaginiamo una digital tax che vada con meccanismi diversi da quelli immaginati nel passato a far pagare le tasse nei luoghi dove vengono fatte le transazioni e gli accordi, un principio di giustizia sociale. Non si arriverà a cifre spaventose, non basteranno a risollevare l’economia del Paese ma è una questione di giustizia”.
Criteri e presupposti
Il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti spiega come dovrebbe funzionare questa discussa digital tax: “la nuova norma dovrebbe basarsi sui paradigmi della continuità e della significatività prevedendo l’assoggettamento al regime fiscale italiano per i soggetti non residenti che realizzano transazioni digitali con una continuità di sei mesi e una significatività in termini di fatturato pari ad almeno 5 milioni annui. In alternativa viene invece prevista una ritenuta alla fonte sulle transazioni del 25%”
Zanetti spiega che “la tassa andrà ad agire sul reddito. Non si va a toccare la disciplina Iva in quanto quest’ultima è normata a livello comunitario. E’ una misura fondamentale: non è possibile che imprese che fanno rilevanti profitti in Italia paghino imposte pressoché inesistenti”.
Gioco online
Il requisito è quello dei 5 milioni in 6 mesi. Se si supera questa soglia, l'assoggettamento al regime fiscale italiano scatta in automatico per i soggetti non residenti che realizzano transazioni digitali con continuità.
Questa digital tax rappresenta - per come è stata studiata - una grossa incognita per le multinazionali europee di gambling online, sia autorizzate regolarmente da una concessione AAMS che, allo stesso modo, le betting company che operano da Malta, dall’Austria e da altri stati, sulla rete dot com, con licenze europee.
Per queste ultime ci potrebbe essere un assoggettamento automatico alla normativa fiscale italiana in materia anche di gambling mentre per quelle già autorizzate il discorso è diverso ed il rischio è per una doppia tassazione sotto il profilo strettamente societario.
Proprio per questo motivo, per esperti fiscalisti internazionali, la Digital Tax potrebbe soccombere ai vari accordi bilaterali fiscali in materia di divieto di doppia imposizione.
Ma ci sono pochi dubbi sull'applicazione della tassa anche al gambling: nel precedente progetto di legge, il Ministero dell'Economia aveva chiarito che il poker online e le altre società di gioco non sarebbero state risparmiate.
Ricordiamo che per la legge “per gli adeguamenti degli obblighi comunitari”, le società europee possono (se rispondono a determinati requisiti) detenere una concessione italiana anche se hanno sede e server all’estero, all’interno dell’Unione Europea. E sono numerose.
Queste società pagano le tasse sul “giocato” allo stato italiano (per esempio nel cash game il 20% sul rake lordo) ma le tasse sui profitti societari vengono applicate nei paesi dove hanno una sede effettiva (Malta, Londra etc).
Siamo però a conoscenza di diversi contenziosi tributari tra gaming company europee con sede a Malta, regolarmente autorizzate con concessione dei Monopoli, e il fisco italiano. L’ultima è stata PokerStars (ma non l’unico concessionario) che si è vista contestare 300 milioni di euro di presunta evasione per 4 anni, nonostante una precedente sentenza della Cassazione favorevole. Insomma, le posizioni sono spesso contestate dall’Agenzia delle Entrate, nonostante la legge parli chiaro.
La digital tax potrebbe complicare ancor di più il quadro normativo del gioco online italiano e aumentare le incertezze per i grossi colossi che superano i 5 milioni di fatturato in 6 mesi.