Si è preso un anno sabbatico, John Juanda, ed è tornato più in forma che mai: al primo torneo dopo la pausa si è tolto lo sfizio di trionfare all'EPT Barcellona 2015. Ancora una volta, l'americano ha dimostrato che la classe non è acqua e che soprattutto non ha età: puoi appartenere alla 'vecchia scuola', ma questo non significa non potersela più giocare nel poker di oggi.
Il professional poker player americano, ma nato e cresciuto in Indonesia, in carriera ha vinto oltre 17 milioni di dollari, un milioncino abbondante dei quali strappato proprio in occasione dell'evento d'apertura dell'EPT12. Una performance solidissima, che però con tanta umiltà è stato lo stesso Juanda a minimizzare, in una recente intervista.
"Mi piacerebbe poter dire che ho vinto grazie al mio gioco straordinario, ma la verità è che mi è andata benissimo per tutto il torneo. Nel Day 5 sono finito all-in con Q-4 contro un giocatore big stack che aveva A-Q, e al final table con K-J ho superato due avversari che avevano rispettivamente A-K e 4-4".
Non è facile trovare, nel mondo del poker, un giocatore vincente che ammette l'aiuto della buona sorte: "Ironicamente ho giocato quelle mani proprio come dovevo, semplicemente allo showdown avevo le carte peggiori e altrettanto semplicemente ho vinto lo stesso. Ho pure vinto un grosso flip con A-K contro Q-Q. Giusto per dimostrare quanta fortuna serva per vincere un torneo dal field enorme".
John Juanda: "Io illeggibile? Macché"
"Non direi proprio che sono illeggibile", ha dichiarato John Juanda. Lui che al tavolo da poker sbatte le palpebre tipo tre volte in un'ora. "Qualche anno fa, un mio caro amico, che neppure gioca a poker, mi stava guardando in tv mentre giocavo.
Parlando, mi ha spiegato che facevo certe cose quando avevo una mano forte, e ne facevo altre quando bluffavo. Ed aveva assolutamente ragione".
John Juanda ha spiegato anche il motivo per il quale ha giocato a lungo con una mascherina, durante l'EPT Barcellona. E qui il fatto di non essere leggibili non c'entra nulla: "Mi sono trasferito a Tokyo cinque anni fa, è la più bella città del pianeta: cibo, persone, cultura.
In Giappone, la gente si prende cura degli altri. Quando un giapponese è malato, di solito indossa una mascherina quando si trova in un luogo pubblico, per non trasmettere la malattia agli altri. Mi piaceva il concetto di fondo, così ho iniziato a fare la stessa cosa anche io".
Il deal rifiutato all'EPT Barcellona
Juanda ha parlato anche di quando, rimasti in quattro all'EPT Barcellona Main Event, da short-stack ha rifiutato un deal che lo avrebbe sicuramente premiato: "E rinunciare alla possibilità di vincere un milione? Mi venne offerto un deal che probabilmente avrei dovuto accettare.
Ma avevo un M di 4 e gli altri tre avversari avevano un M almeno di 12: mi aspettavo che avrebbero giocato con cautela, aspettando la mia eliminazione. Ho pensato che avrei potuto essere più aggressivo. E se avessi fatto un double-up, sarei tornato in corsa per il trofeo".
Il piano non si è sviluppato proprio in questo modo, ma l'esito è stato comunque positivo: "Ovviamente non è successo niente di quello che avevo pensato, perché sono finito per mandare la vasca con la mano peggiore, ma ho fatto triple-up!", ha scherzato John Juanda.
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John Juanda e the ugly side of poker
John Juanda si è trasferito nel Paese del Sol Levante proprio quando negli USA impazzava lo scandalo del Black Friday. L'americano faceva parte della vecchia Full Tilt, anche se il suo ruolo all'interno del management era marginale, tanto che spesso ha criticato Ray Bitar. John si è sentito tradito da Chris Ferguson e in particolare da Howard Lederer e dal suo tentativo di dare la colpa a tutto il Team Full Tilt.
Il "lato oscuro del poker", di cui parlava Dan Colman nel suo famoso post sul forum di TwoPlusTwo, è un concetto che Juanda conosce bene. Non a caso John uso il suo profilo Twitter per ribattere proprio quel post di Colman, in cui il vincitore del Big One for One Drop faceva affermazioni forti come "non devo niente al poker", rifiutandosi di rilasciare interviste.
"Sono stato così fortunato da beneficiare economicamente da questo gioco, ma ho giocato abbastanza a lungo da vedere il lato oscuro di questo mondo", scriveva Colman. "Il poker non è un gioco in cui i pro sono sempre felici e vivono una vita soddisfacente".
Così John Juanda: "Mi posso immedesimare nel punto di vista di Dan Colman. Sono cresciuto in un paese del terzo mondo, dove la maggior parte della gente non poteva permettersi un dottore quando stava male. Volevo fare il dottore, ma ho finito per giocare a poker, un'occupazione che non mi sembra abbia un impatto positivo sulle vite altrui. Quindi sono cose a cui penso. Anche se non sono diventato un dottore, non ho mai smesso di cercare modi per aiutare le persone meno fortunate di me".