Da quando nel 1992 riuscì a “rottamare” sterlina e lira in un solo giorno, il destino di George Soros è segnato: Wall Street lo marca stretto ed ogni sua mossa diventa uno spunto per finanzieri ed investitori di tutto il mondo.
D'altronde, il businessman (o filosofo fallito, come ama definirsi) ungherese è abituato a scommettere pesante sui mercati valutari e non solo. Questa volta ha scelto il poker online, proprio in un momento di flessione mondiale. I principali fondi di investimento non si sono lasciati sfuggire l'occasione e lo stanno affiancando, sostenendo le multinazionali di Las Vegas, in questa appassionante sfida. I motivi sono molteplici:
- Una crisi che viene da lontano
Per prima cosa bisogna capire le ragioni della crisi, dopo anni di crescita a doppia cifra. Non è un caso che questa flessione sia iniziata con il “Black Friday”. Il mercato USA era il polmone vitale che dava ossigeno alla promozione in tutti i mercati (europei in primis). Con lo stop a PokerStars.com e Full Tilt da parte del DoJ, si è interrotto il "Piano Marshall" per molti mercati europei che stavano affrontando una sorta di start-up.
Ancor prima, l'e-gaming statunitense (e mondiale) aveva subito una bad beat pesante nel 2006 con l'UIGEA. E' facile comprendere che il business del gioco online globale sia legato dalle leggi e dalle scelte della politica negli States che rimane - di gran lunga - il primo mercato mondiale potenziale.
- Soros e la Casa Bianca
Qui entra in gioco Soros: i suoi legami stretti con Barack Obama sono visti dagli investitori come una garanzia, così come il suo rapporto confidenziale con il potente senatore Harry Reid (non a caso sponsorizzato da Caesars e MGM alle ultime elezioni). Siamo sempre stati molto scettici sulla liquidità ristretta dei mercati regolamentati statunitensi, ma l'intervento del finanziere potrebbe essere decisivo. A questo punto viene da pensare agli ultimi eventi che hanno condizionato la storia recente del poker online: non è un caso che il DoJ (i procuratori federali sono nominati dal presidente negli Stati Uniti), a meno di un anno dall'inchiesta che ha messo in ginocchio il poker online, pubblicò - nel dicembre del 2011 - un parere che "sdoganò" il poker e non lo fece rientrare nella legge federale "Wire Act". Da quel momento è partito il processo della regolamentazione...
- Liquidità condivisa e casinò online
Dopo Nevada, New Jersey e Delaware, California, Oklahoma e New York sono pronti a legalizzare il poker. Sarà un test per il futuro mercato con liquidità condivisa e non solo. Il vero business riguarda l'allargamento dell'offerta ai casinò online. In questo caso però si parla di un progetto a medio/lungo termine, perché il gambling, al contrario del poker, è vietato dal Wire Act e nessuno Stato può derogarlo. Per questo serve un intervento dall'alto.
- Wall Street e i debiti di Las Vegas
Wall Street è già ”committed” con Vegas. Molte banche d'affari e fondi hanno investito in Nevada ed ora devono affrontare i debiti spaventosi accumulati da parecchi casinò che non hanno diversificato nei mercati asiatici, come hanno fatto negli anni passati, ad esempio, Las Vegas Sands (non a caso è contraria all'online), Wynn (ha assunto una posizione neutrale) e MGM (favorevole ma solo ad un mercato federale).
Caesars (che detiene i diritti delle WSOP) ha puntato tutto sugli Stati Uniti e si trova ad affrontare un debito preoccupante, frutto della crisi che - post 2008 - ha messo in ginocchio gli States. Per i finanzieri di Wall Street, l'online è visto come una possibilità per diversificare, ma anche per gettare un pò di fumo negli occhi degli investitori privati. Sia chiaro, il potenziale dell’online negli States può rappresentare un business importante, ma non può certo – in un colpo solo – risollevare Las Vegas, dopo anni di investimenti forsennati e senza criterio sulla Strip.