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WSOP 2019 Rio

Un sogno chiamato WSOP, prima parte: l’emozione del Big 50

Rio All-Suite Hotel & Casino, Las Vegas. Sono seduto al tavolo 196 della Pavilion Room e mancano pochi minuti alle 22 ora locale, o se preferite alla fine del 30 livello del The Big 50, l’evento numero 3 delle WSOP 2019. Siamo rimasti in 188, già tutti ampiamente a premio, e al tramonto del Day 3 mancano ancora due livelli.

Ho poco meno di 6 milioni di chip. Il piccolo buio costa 125.000 pezzi, il grande buio il doppio, ma la formula Big Blind Ante costringe l’ultimo giocatore ad avere diritto di parola pre-flop a investire mezzo milione di gettoni ancor prima di aver visto le carte. Un esborso a cui mi sono appena sottoposto, visto che mi trovo sullo small blind.

Tutti foldano fino al bottone. È un giocatore americano più vicino ai cinquanta che ai quaranta; indossa un cappellino da baseball e una polo. Non so chi sia, ma da come ha parlato nelle ultime sei ore pare uno che alle WSOP dia del tu: “Sono dieci anni che gioco con Ari Engel, ho già fatto una decina di tavoli finali alle World Series”, mi aveva detto poco prima. Forse per intimidirmi? Missione fallita, in ogni caso. Anche Brocchi ha giocato per anni con Kakà e Shevchenko, ma non per questo ha acquisito la tecnica del primo o la progressione del secondo.

“Raise, 675.000”, annuncia il bottone. Do un’occhiata al suo stack, ma non riesco a capire se abbia poco più o poco meno delle mie chip. Importa il giusto, perché spillo le carte e… A A . Potrei trovarmi contro anche la fusione di Phil Ivey e Stu Ungar, ma coi pocket rockets mi sento abbastanza sicuro da annunciare la three-bet.

Devo solo decidere se andare direttamente all-in, oppure rilanciare soltanto. Alla fine scelgo una size di 1.600.000, che mi lascia dietro poco più di 4 milioni di chip. Una size che dovrebbe dire “ehi, qualsiasi cosa tu farai, non mollerò mai questo piatto”. Eppure il mio avversario annuncia il suo all-in senza quasi pensarci.

Scontato il mio snap-call.

Allo showdown lui mostra nientemeno che K 3 .

Se vinco questo piatto, volo a oltre 12 milioni di chip e a meno di tragedie sportive mi assicuro il Day 4.

Negli istanti che precedono i gesti sicuri del dealer, pronto ad appoggiare sul tavolo le prime tre carte del board, ripenso a come sono arrivato fin lì. E sorrido: comunque vada, ho vissuto finalmente il sogno chiamato WSOP.

 

 

Metti una sera a cena…

Marzo 2019. È un venerdì sera, la primavera è ancora lontana ma soltanto sul calendario. Da anni il terzo mese dell’anno non era stato così clemente, nella solitamente ancor fredda Pianura Padana. Tanto che al termine di una cena con gli amici di sempre, l’amaro lo sorseggiamo all’aperto. “Allora, quando andiamo a ‘ste World Series of Poker?”, chiedo a T-Bird, mio ex compagno di classe nonché regular degli MTT di PokerStars.it.

“Quest’anno”, mi risponde, spiazzandomi. Ne parliamo almeno dal 2012, anche se mai in maniera concreta. Stavolta però, complice un calendario che propone per la prima volta un torneo da 5 milioni garantiti con buy-in da 500 dollari rake free (almeno per il primo bullet), quella che per anni è rimasta soltanto un’idea campata in aria si concretizza piuttosto in fretta – anche grazie al lavoro preciso e puntuale di Belinda Corsaro e della sua agenzia viaggi specializzata nel poker: un nome, una garanzia.

Partenza venerdì 31 maggio, in tempo per partecipare al Day 1C del Big 50, e ritorno fissato una settimana dopo. Tecnicamente venerdì 7 giugno è giorno di final table del torneo, ma vuoi che due novellini come noi si riesca ad arrivarci, alla prima esperienza alle WSOP?

“Nel caso cambiamo volo”, abbozza T-Bird. “Tanto se arriviamo al tavolo finale, possiamo pure comprarcelo, un aereo”.

Welcome to Fabulous Las Vegas

Fast forward al 31 maggio. Il volo da Milano a Las Vegas via Atlanta fila liscio come l’olio. Arriviamo al Rio all’ora di cena e decidiamo di fare subito un giro in zona WSOP, per fare il check-in del torneo.

Chi ha parlato di lunghe code e di disorganizzazione massima per il Big 50 probabilmente è stato poco furbo. Sarebbe bastato acquistare il buy-in online, come fatto da noi, per passare un quarto d’ora in attesa di ritirare la Caesars Card e pochi minuti ancora per avere tra le mani il ticket. È chiaro che chi si è presentato a ridosso dello shuffle up and deal si è trovato migliaia di player davanti, visto che l’evento ha fatto segnare il record di buy-in nella storia di un torneo di poker.

Ad ogni modo, espletate le formalità burocratiche, decidiamo di cenare direttamente al Rio e di abbandonarci presto all’abbraccio di Morfeo. C’è un Day 1 da 13 livelli da 50 minuti da affrontare, l’indomani.

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Big 50: una struttura da leccarsi i baffi

Stack di partenza 50.000 chip, livelli dei bui da 50 minuti, formula Big Blind Ante e tanti livelli intermedi. Insomma, una struttura impeccabile, che non è mai collassata e che ha permesso a tutti i giocatori di divertirsi a lungo. Il Big 50 è stata la piacevole sorpresa delle WSOP 2019 e non è un caso se il pubblico ha risposto in massa, rendendolo il torneo più partecipato di sempre.

Ma andiamo al mio Day 1.

Voglio godermi un momento indimenticabile, che difficilmente avrò modo di gustare ancora in futuro. Sono appena diventato papà (settembre 2018), ho tanti progetti che col poker c’entrano poco (qualcuno ha detto Team QLASH?) e quella di quest’anno è un’occasione irripetibile frutto di una serie di incastri miracolosi. A proposito, ci tengo a ringraziare in particolar modo mia moglie Angela per aver mandato avanti la famiglia da sola per una settimana: senza di te sarei un poker d’assi quando sul board è apparecchiata una scala reale.

Mi siedo al tavolo 95 del Brasilia Stage, posto numero 9. L’emozione è tanta: non sono un giocatore professionista e benché lavori da oltre dieci anni nel mondo del poker, e abbia partecipato a qualche torneo, nulla è paragonabile alla sensazione che ti lascia partecipare ai campionati mondiali. Ma bastano un paio di mani perché la tensione si sciolga, lasciando spazio alla voglia di provarci: del resto, che cos’ho da perdere?

Rotto il ghiaccio…

Vinco un paio di piatti piccoli, ma il primo scossone arriva intorno a metà secondo livello. Alla mia destra c’è un ragazzo che avrà sui 30-35 anni. Sembra il sosia Bradley Cooper, ma in formato discount: un po’ meno bello, un po’ più grassottello, decisamente peggio vestito ma con i tratti del viso che ricordano l’attore hollywoodiano.

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Da small blind rilancia x3 sul mio big blind. Io ho A 7 e mi appoggio soltanto: siamo nelle fasi iniziali del torneo, dove le chip perse contano molto più di quelle guadagnate, e non voglio ingrandire il piatto nell’ipotesi che il mio avversario abbia davvero qualcosa e non stia soltanto cercando di rubare il piatto.

Il flop è K 7 2 . Lui esce in continuation bet e io con middle pair top kicker voglio sicuramente guardarmi almeno il turn. Un 3 difficilmente può aver cambiato la situazione: se ero avanti al flop, lo sono anche al turn. Lui punta ancora circa un quarto del piatto, una puntata così piccola che mi induce a chiamare nuovamente. Se spara due colpi probabilmente qualcosa ce l’ha: probabilmente un re con un kicker con cui non si sente troppo sicuro, visto il mio call al flop.

Il river è un fantastico 7 . Lui spara la terza puntata, stavolta circa mezzo piatto. Io opto per fare solo call, forse perdendo un po’ di valore ma capitemi: è il mio primo piatto grosso alle WSOP e per quanto sia improbabile, ho timore di un fantascientifico K-7 contro cui se rilanciassi perderei molto di più. Lui mostra K 9 e mi consegna il pot, non senza una battutina su come io sia stato fortunato al river.

7.183 ingressi al Day 1C, 1.504 i superstiti dopo 13 livelli

Il bello vien la sera

Il pomeriggio prosegue senza troppi squilli. Pur senza vedere grosse mani (solo un AK e un 66 nei primi otto livelli), riesco a incrementare il mio stack da 50.000 a circa 80.000. Alla pausa cena sono soddisfatto, ma non troppo. Anche T-Bird sta andando abbastanza bene (ha circa 90.000 chip), ma pure lui avrebbe bisogno di qualche mano premium in più.

Di ritorno dopo lo stop, la Dea Bendata ascolta la mia preghiera e mi permette di vincere immediatamente un bel piatto contro uno short: AQ vs QJ e oltre 20.000 gettoni aggiunti al mio stack. È il primo di tre mani di fila vinte, l’ultima delle quali mi fa volare a 160.000 chip.

Da hijack, un giovane giocatore americano, di quelli che conoscono a memoria tutti gli episodi di High Stakes Poker – ma che all’atto pratico sono moooolto meno bravi di quanto si spaccino – fa solo limp. Una mossa che aveva già fatto spesso nelle ore precedenti, mostrando mani più o meno decenti allo showdown.

Io da small blind ricevo A 10 e decido di rilanciare. Il big blind, un ragazzino giapponese, piazza un mini-raise: da 4.000 (importo del mio rilancio) a 6.000. Una bet strana, che l’americano chiama dandomi assolutamente le odds per farmi un giro al flop – anche se la mossa del nipponico mi fa scattare un campanello d’allarme.

Il flop è J 3 8 . Sono fuori posizione e praticamente non ho nulla: opto per un check e i miei avversari sono così gentili da regalarmi una carta. Il turn è un 7 che apre scenari piuttosto interessanti: con qualsiasi carta di picche chiuderei colore nuts, mentre un 9 mi darebbe una scala con la quale perderei solo da Q-T.

Faccio ancora check, il giapponese mi imita e l’americano punta circa un terzo del pot. Anche se dopo di me c’è un altro giocatore che deve ancora parlare, con quei progetti, e la consapevolezza di poter strappare tante altre chip ai miei avversari con un po’ di fortuna, faccio call. Il big blind chiama e il river è un 4 : bingo!

Ora devo capire come me la voglio giocare. Escludo immediatamente il check, perché non voglio rischiare che i miei avversari si adeguino. Decido per una size di 35.000, circa i due terzi del piatto, sperando che qualcuno abbia un K e sia disposto a pagarmi. Il giapponese folda, ma l’americano chiama e mostra un A K giocato, lasciatemelo dire, come peggio non avrebbe potuto.

Si imbusta!

Negli ultimi quattro livelli di giornata faccio un po’ di saliscendi, ma alla fine riesco a chiudere con un onesto saldo di 134.000 chip. Certo, sono lontano dai primi, ma ripartirò da 22 big blind che non sono poi così pochi. Anche T-Bird mette nella busta oltre 100.000 gettoni e sono contento di poter continuare la mia avventura insieme con lui.

Poteva andare meglio? Sempre.

Poteva andare peggio? Anche.

Due ragazzi ultratrentenni al loro esordio alle World Series of Poker che senza troppi affanni superano il Day 1 di un torneo mastodontico: c’è di che essere felici e orgogliosi, senza dubbio.

Che cosa ci riserverà il Day 2 è presto per dirlo, anche perché l’indomani è previsto un utilissimo giorno di pausa che ci servirà per ricaricare le pile.

Giocare dalle 10 del mattino fin quasi a mezzanotte è un’esperienza estenuante, per quanto si possa amare il gioco del poker. Mantenere alta la concentrazione per così tante ore non è facile, soprattutto negli inevitabili periodi in cui il mazzo è freddo, come si dice in gergo, e ti tocca continuare a foldare mentre alla tua immediata destra e sinistra è tutto un fiorire di assi, pocket pair, doppie coppie, scale e full house.

Ma come dicono gli americani, that’s poker.

[Fine prima parte]
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