A chi non è mai capitato di “mandare la vasca” e dover aspettare cinque minuti buoni perché tutti i giocatori foldassero, incluso il Big Blind che ad un certo punto con gran disappunto getta nel muck un 7-2 offsuited? Di certo è accaduto a tutti.
E’ una scena già vista: sei nel bel mezzo di un torneo live e vai all-in. L’oppo che ha già messo più della metà delle chips nel piatto si immerge in una lunga pensata: passa un minuto, ne passano due, poi tre… e così via.
La domanda quindi è la seguente: come ci si dovrebbe comportare in situazioni come questa? La reazione più automatica sarebbe quella di chiamare “tempo”, ma il dubbio spesso ci attanaglia, lasciandoci nell’incertezza di quale sia davvero la cosa migliore da fare. Per rispondere alla domanda occorre comunque prendere in considerazione tutti i fattori che intervengono in circostanze simili e tenere bene a mente che alcune scelte possono essere influenzate assai più dai dettagli di ordine psicologico che non dalle valutazioni tecniche in base a stack, carte, odds, ecc.
A tal proposito, la prima cosa da rimarcare è che chi, rivolgendosi al dealer, reclama il “timing” lo fa partendo dalla premessa che un avversario seduto al tavolo stia spendendo inopinatamente una grande quantità di tempo, tenendo scorrettamente sul filo gli altri giocatori.
Va da sè che il “tempo” può essere chiamato sia dai giocatori coinvolti nella mano, sia da coloro che non lo sono, senza distinzione alcuna. Ma soprattutto, il fattore più importante da valutare sarebbe quello di discernere se l’attesa imposta dal giocatore di turno sia poco più di un fasullo escamotage per trarre tell preziosi, oppure una reale pausa di indecisione.
Nel primo caso, per esempio, anche la nostra impazienza potrebbe di fatto rappresentare un buon tell per l’avversario. Nel secondo caso, invece, richiamare l’attenzione sul tempo può condurre a esiti imprevisti. E’ vero, seppure seduti allo stesso tavolo noi giochiamo sempre contro gli altri e quindi impedire di ponderare con serenità una scelta può procurarci dei vantaggi. Mettendo fretta, possiamo indurre in errore gli oppo nella mano, o ancora possiamo perfino innervosirli se la situazione si ripetesse più e più volte.
Tuttavia anche la scelta di chiamare “tempo” talora può ritorcersi contro di noi, esercitando una cattiva influenza sul resto dell’action presente e futura.
Colui che reclama il tempo al tavolo, si sa, risulta vagamente antipatico al resto dei giocatori. Inoltre, in nessuna disciplina di poker esiste una regola scritta che stabilisca quale sia un limite di tempo ‘accettabile’ o ‘opportuno’ per agire. Dunque, il tutto marcia a totale discrezione dei giocatori.
Al Main Event delle WSOP 2008, Tiffany Michelle osò chiamare ‘tempo’ in una mano cruciale. Ma l’episodio desta ancora curiosità ed è rimasto famoso perché essendovi soltanto due tavoli superstiti era probabilmente un interesse convergente quello di lasciare correre per un attimo le lancette, in vista di premi più alti. Tuttavia esistono anche altri esempi di segno opposto.
E del resto, benché le cifre in gioco nel poker assai sovente siano rilevanti, non sarebbe neppure corretto che ogni mano durasse dieci o venti minuti, portando alla stanchezza i giocatori proprio alla chiusura del giorno di torneo, quando insomma ogni azione conta e servirebbe la massima lucidità.