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Colloquio di lavoro... col poker!

Quando la passione ci seduce, tendiamo a dimenticarci di tutto, anche di noi stessi.

Un ronzio penetra silente ma costante. La testa inizia a ribellarsi e istiga un braccio a muoversi bruscamente per schiacciare la sveglia e porre fine al supplizio. Ridestarsi di prima mattina per chi è un abitudinario del tirar tardi equivale a un’impresa che brucia le energie di riserva.

La colazione è servita. Un tiepido thè aromatico disegna cuori nell’aria, i biscotti a forma di picca e un bel vaso di fiori profumati fanno da contorno. Il cerchio dei semi si completa con i quadri, quelli appesi sulla parete principale.

Poco convinti, gli ultimi sbuffi di protesta si arrendono dinnanzi alle carezze di una mano amata. Non si tratta di poker, ma della dolce metà che tenta di rimetterci in piedi. Va bene. Prova di orgoglio. Gli occhi timidamente si spalancano, gli arti si allungano ed eccoci come per magia in posizione eretta.

Oggi è giorno di esami, non della maturità scolastica e nemmeno del sangue. Il mal di testa accompagna i dubbi sul perché le coperte non ci scaldino ancora calorosamente, ma poi la visione appare chiara.
Un colloquio di lavoro importante ci attende. In tempi di crisi come questi, un lavoro sicuro è un diamante che si nasconde tra le immondizie. L’occasione di trovarlo non si può perdere.

Tuttavia il pensiero, subito dopo, torna al poker, a quella passione o “secondo lavoro” che tentiamo spesso di trasformare in fonte principale di benessere, sogno che ancora pochi di noi riescono a realizzare.

I primi neuroni si rimettono in moto sorseggiando il thè e iniziano i calcoli. “Alle 9.30 puntuali, presentarsi tirati e brillanti. Dare il meglio di sé. Alle 11 già che ci siamo le spese per poi restituire amorevolmente il favore alla compagna, preparando un succulento pranzo. Bene dovrebbe essere tutto per ora. Bene. Bene, accendiamo 5’ il portatile tanto per distrarci.”

Il giocatore riprende il sopravvento sulla coscienza. Il pc apre l’icona poker, o forse siamo stati noi? Alle 7.30 ancora c’è qualcuno che si cimenta ai tavoli cash! Le giocate sembrano particolarmente aggressive, esagerate. Forse i potenziali avversari sono in tilt. Una piccola sessione possiamo anche permettercela prima di uscire di casa.

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“Siediti qui”. Detto e fatto. Ci ritroviamo immersi nuovamente davanti a un virtuale panno verde. L’action si fa subito infuocata. Un pizzico di pazienza però ci vuole e ci premia. Saliamo di stack, uno abbandona la compagnia, un altro lo ripuliamo ma ricarica. Un tavolo così non si lascia per strada.

Immersi nella competizione il tempo passa, ma tutto d’un tratto ci accorgiamo di quel che è successo.
Sono le 10. Abbiamo triplicato lo stack di partenza. Molto bene.
Sono le 10. Abbiamo dato buca all’appuntamento. Molto male.

Chiudiamo il pc.  Chiamiamo per scusarci del ritardo col responsabile dell’azienda e cerchiamo di trovare una via d’uscita. Magari domani la febbre (del poker?) se ne sarà andata. Ci rituffiamo sotto le coperte, sognando un’altra sessione positiva completamente dimentichi di tutti gli altri progetti per la mattinata.

Eternamente in bilico tra bene e male, ci convinciamo che a volte ci facciamo del male per il nostro bene.

Il poker ci ammalia, a volte ci illude lasciando l’amaro in bocca, a volte ci fa gridare di gioia. Il poker è la passione a cui non rinunciamo. I più bravi emergono e si portano a casa grandi soddisfazioni. I meno bravi, se dotati di intelligenza, sanno comunque divertirsi senza perdere la bussola della realtà.
Tradotto banalmente, il poker ci fa sognare.

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