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L’avaro Chris Ferguson e il sogno finito male

chris-fergusonPer la rubrica Asso Story, oggi vi proponiamo un articolo del 20 settembre 2012, dedicato alle origini di Full Tilt Poker: ecco come è nata la creatura di Chris Ferguson, naufragata dopo il black friday e salvata da Rational Group (attuale azionista) che l'ha rilevata a seguito dello storico accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense. 

 20-9-2012

Per Full Tilt Poker sta per chiudersi un’epoca: risolta la crisi finanziaria, si gira pagina con i nuovi azionisti, ma in questi giorni i vecchi protagonisti hanno voluto svelare retroscena significativi e inediti.

Senza dubbio viene fuori un quadro abbastanza delineato, con l’azionista di maggioranza relativa (deteneva il 18%), Chris Ferguson, che aveva affidato la gestione del sito, all’amico e uomo di fiducia Raymond Bitar, co-fondatore del gruppo insieme a Howard Lederer.

Pochi mesi dopo si erano uniti al gruppo altri investitori importanti come Phil Ivey, Rafe Furst, Phil Gordon, Perry Friedman (colui che ha contribuito a sviluppare il fenomenale software di Full Tilt) e Andy Bloch.  In un terzo momento avevano fatto il loro ingresso nella compagine societaria anche Eric Lindgren e John Juanda: con tali apporti si era  costituito un capitale di circa 700.000$. Era l’inizio del sogno, finito male.

Negli anni  successivi entrano nuovi soci e volti (Jennifer Harman, Mike Matusow etc). Full Tilt viene lanciata nel 2004 con una dote interessante: 2,5 milioni di dollari da investire nel marketing (al tempo una cifra importante).  Inoltre, il consiglio stabilisce che il 5% degli utili deve essere reinvestito nel leggendario “ Team Pro” che assumerà un ruolo centrale nella politica marketing del gruppo.

La figura di Bitar però, fin da subito, inizia a creare divisioni all’interno del gruppo. Il board originario era formato oltre che dal discusso CEO, anche da Ferguson, Ivey, Friedman e Lederer (per i suoi impegni pokeristici assidui però Ivey si è dimesso subito dalla carica ed è stato sostituito da Furst). Anche Perry Friedman ha lasciato la poltrona nel 2006 per forti contrasti con Ray Bitar che era contestato da una parte dei soci, in particolare da John Juanda. 

Nelle recenti interviste, Andy Bloch e Howard Lederer raccontano dei numerosi contrasti avvenuti nella gestione della room ma Chris Ferguson ha sempre difeso a spada tratta l’amico Ray.

I maligni sostengono che Bitar fosse quasi “analfabeta”, comunque non preparato per assumere una carica del genere, a capo di un gruppo complesso che muoveva milioni (se non miliardi) di dollari. Lederer però recentemente lo ha difeso: “non aveva un’istruzione qualificata in senso tradizionale ma aveva tanta passione per la società, esperienza ed era un proprietario che aveva investito molto nel progetto. Non era solo amico di Chris, ma in molti settori del gruppo stava facendo un buon lavoro…”. Di sicuro, non in quello finanziario.

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Se la maggior parte degli azionisti, in pochi anni, aveva "bruciato" i fantastici guadagni che il sito gli aveva garantito, Chris Ferguson viene descritto come una persona molto attenta nelle sue spese personali e non solo. "Jesus" con lo scoppio della crisi a seguito del black-friday, era l'unico in grado di poter sostenere un aumento di capitale in proporzione alla sua quota (18%) e salvare Tiltware, la holding di controllo di Tilt e di Pocket Kings. Ma da solo, senza l’appoggio degli altri proprietari, ogni tentativo sarebbe stato inutile.

john-juandaI soci si sono ben presto tirati indietro da un piano di rifinanziamento perché non disponevano di fondi sufficienti. Con la crisi globale del 2008, diversi azionisti avevano visto dimezzato il valore dei loro investimenti immobiliari.

"The Professor" ha rivelato che l’oculato (per non dire avaro) Jesus aveva previsto tutto: in tempi non sospetti, si era dichiarato contrario alla spartizione dei dividendi tra i soci. Sosteneva che ogni distribuzione degli utili, indeboliva la società, ed i fatti gli hanno dato ragione.

I primi dividendi erano stati versati nel 2007 e i diretti protagonisti assicurano che in quel momento “vi era un eccesso di liquidità dei depositi dei clienti”. La promessa di Bitar (mai mantenuta) era quella di incrementare gli utili, dopo tre anni.

Il problema è che se Ferguson cercava di placare la voracità degli azionisti (lo scandalo dei prestiti di Ivey e Lindgren è emblematico), dall’altra parte, Ray Bitar era sempre più sotto pressione – come racconta Andy Bloch – e messo ogni giorno in discussione, perché i dividendi, dal 2010 non si erano implementati come promesso.

Proprio questo atteggiamento ha indotto – con ogni probabilità – Bitar al bluff più rischioso e mal riuscito della storia del poker.

Editor in Chief Assopoker. Giornalista e consulente nel settore dei giochi da più di due decenni, dal 2010 lavora per Assopoker, la sua seconda famiglia. Ama il texas hold'em e il trading sportivo. Ha "sprecato" gli ultimi 20 anni della sua vita nello studio dei sistemi regolatori e fiscali delle scommesse e del gioco online/live in tutto il Mondo.
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