Come avevano evidenziato nell'intervista di ieri ad Assopoker gli avvocati Giulio Coraggio e Vincenzo Giuffrè, partner di DLA Piper, il ban della pubblicità "totale e assoluto" contenuto nel Decreto Dignità a firma di Luigi Di Maio, è privo di coperture finanziarie, nonostante il M5S sostenga che il provvedimento non le richieda.
Ma nella giornata di ieri sono emerse delle problematiche in questo senso riguardo quasi tutti i provvedimenti previsti nel decreto. Per il giornale La Stampa, il Ministro dell'Economia Giovanni Tria ha bloccato l'approvazione su segnalazione del Ministero del Tesoro per mancanza di coperture finanziarie. Un fatto molto grave che rende l'atto normativo non costituzionale.
Si naviga a vista insomma nonostante gli ammonimenti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che aveva già sollecitato il Governo su questo punto, citando due casi dell'ex Presidente Einaudi che aveva rigettato alcune leggi per mancanza di coperture.
In passato, la Commissione Bilancio di entrambe le camere ha costantemente bocciato (e negato l'inserimento nell'ordine del giorno) precedenti progetti legge sul ban della pubblicità "perché sprovvisti delle adeguate coperture" che rimane un tema centrale e molto delicato, al quale giustamente il Ministro dell'Economia Tria fa - in modo responsabile - grande attenzione. Ma nel Decreto Dignità non è prevista alcuna copertura in questo senso e questo particolare fa dubitare sulla legittimità costituzionale della norma.
La scelta di Tria sarebbe stata appoggiata anche dal Sottosegretario al Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti "che durante il Consiglio dei ministri - cita il quotidiano La Stampa - ha ammonito i colleghi a verificare sempre le coperture finanziarie dei provvedimenti".
Luigi Di Maio ha minimizzato: "sta facendo il giro delle Sette Chiese, tra bollinature e cose che sto scoprendo solo adesso, ma il testo è pronto. Deve essere solo vidimato dai mille e uno organi di questo paese".
Il vicepremier ha fatto sapere che il Decreto Dignità sarà approvato al massimo entro martedì.
Ieri sera il Comunicato Stampa di Palazzo Chigi era rassicurante: il Consiglio dei Ministri "ha esaminato, in via preliminare, e ha condiviso ampiamente nel merito politico, il testo di due decreti legge di imminente approvazione: il cosiddetto “decreto dignità” e quello relativo alla cessione di unità navali italiane alla Guardia Costiera libica, al fine di incrementarne la capacità operativa nelle attività di controllo e di sicurezza".
Quindi Decreto Dignità per accontentare Di Maio e 20 motovedette date in dotazione alla Libia per volontà di Salvini.
Come ha evidenziato l'avvocato Giulio Coraggio, il problema delle coperture riguarda anche il gaming. "La norma sul ban della pubblicità è incostituzionale perché non prevede coperture" determinate dal mancato gettito a causa del Ban (in pericolo minimo 1 miliardo di euro) più le risorse per tutti i ricorsi e la richiesta di risarcimento danni dei concessionari. Il Ministero dell'Economia avrebbe quantificato in circa 700 milioni la perdita del gettito ma la stima sembra al ribasso.
Aggiungiamo noi un'altra grave mancanza: nella bozza del decreto non è prevista la notifica stand still alla Commissione Europea. Un gesto non proprio simpatico nei confronti degli altri paesi membri e che soprattutto potrebbe far capitolare tutto dinanzi ad un tribunale europeo (e non è escluso anche di fronte al Tar Lazio), per un pesante vizio procedurale, visto che tutte le norme che riguardano il gioco online devono essere notificate a Bruxelles e devono stare in stand still per 3 mesi, per dare tempo agli altri paesi membri di sollevare eventuali eccezioni (oltre alla Commissione europea).
Secondo il quotidiano torinese, mancano le coperture finanziarie su alcuni provvedimenti e ci sarebbero dei contrasti di fondo sul Decreto tra Lega e Cinque Stelle.
Secondo La Stampa "Il decreto legge è stato stoppato dal ministro dell’Economia Giovanni Tria: gli uffici della Ragioneria avrebbero avuto da ridire sulle coperture finanziarie di alcune misure, giudicate insufficienti e inadeguate. A cominciare dall’abolizione dell’obbligo dello split payment, un meccanismo tributario mirato a contrastare l’evasione del pagamento dell’Iva quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione. Una misura, introdotta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, che ha indubbiamente complicato la vita dei contribuenti onesti, costretti a gestire problemi di liquidità. Ma è pur vero che lo split payment ha dato ottimi risultati: nel biennio 2015-2016 c’è stato un maggior gettito Iva, pagata dai contribuenti disonesti, quantificabile in circa 3,5 miliardi. Altre obiezioni, più facili da risolvere, sarebbero sorte dopo l’esame legislativo degli articolati, che avrebbe evidenziato alcuni errori tecnici".
Ma ci sarebbero anche questioni di fondo: "Vanno al di là del tema delle coperture finanziarie, e riguardano sia il merito delle misure sia il loro impatto politico. Il punto è l’intenzione da parte di Di Maio, in qualità di ministro del Lavoro, di ridurre il grado di flessibilità e di precarietà del mercato del lavoro".
Ci sarebbero poi contrasti politici, la Lega non vorrebbe questo decreto secondo il quotidiano torinese: "la stretta sui contratti a tempo determinato, con il ritorno delle causali dopo i primi dodici mesi, il limite a 4 proroghe, l’aumento dei costi contributivi a carico delle imprese dell’1% per ogni nuovo contratto.
Ieri Confindustria, Confesercenti e Confcommercio hanno protestato contro questa misura. Una protesta, pare, che avrebbe trovato ascolto sia al ministero dell’Economia che al quartiere generale della Lega. Il Carroccio pesca già molti voti nel mondo delle piccole imprese...".
In ogni caso Di Maio ha promesso l'apporovazione del Decreto e del ban della pubblicità entro e non oltre martedì, nonostante molti concessionari siano già sul piede di guerra e preannunciano ricorsi, richieste di risarcimenti danni e qualcuno anche la rinuncia alla concessione. Siamo solo all'inizio di una lunghissima battaglia dove in ballo c'è il futuro del mercato concessorio italiano.
Ma anche il mondo dello sport italiano e dei media è in procinto di contestare questa legge che non tutela nessuno visto che riguarderebbe solo il 5% della spesa pubblica nel gioco. Si prevedono solo gravi danni all'erario, all'economia reale (sport e media perderebbero circa 200 milioni di euro l'anno),e all'occupazione, in nome di cosa? Un'eterna campagna propagandistica.
Il ban avrebbe gravi effetti sullo sport e sui diritti televisivi che potrebbe indurre Sky anche a rivedere i costi degli abbonamenti per ammortizzare le mancate entrate provenienti dai bookmakers.
Si può leggere qui l'articolo integrale del giornale La Stampa