La Commissione Europea ha inviato un parere alla Corte di Giustizia UE, in merito al ricorso di Cristiano Blanco ed un altro (anonimo) giocatore di poker, sulla delicata questione delle tasse richieste dall’Agenzia delle Entrate ai players italiani, in merito alle vincite all’estero.
La Commissione sposa una posizione molto rigida e boccia il “sistema” impositorio italico, riguardo agli “in the money” maturati nei tornei nei casinò comunitari.
“L’articolo 56 TFUE – si legge su Agimeg - osta ad una legislazione, come quella italiana descritta dal giudice di rinvio, che assoggetti a imposta sul reddito le vincite da gioco conseguite in case da gioco stabilite in altri Stati membri, e che al contrario non assoggetti alla stessa imposta le vincite al gioco conseguite in case da gioco stabilite in Italia”.
Questo è il parere della Commissione Europea, all’interno del procedimento riguardo la causa di Cristiano Blanco, al quale il fisco italiano aveva chiesto circa 550.000 euro, tra sanzioni, interessi e ovviamente presunte imposte evase.
Blanco e l’altro player (rimasto anonimo) sono assistiti dall’avvocato Massimiliano Rosa e dal dottor Sebastiano Cristaldi, i quali avevano presentato un ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.
Il parere non è vincolante ma la dice lunga sul pensiero degli organi comunitari in merito all’operazione “All in” che ha coinvolto centinaia di players del nostro paese.
L’interpretazione data dalla normativa italiana in questi anni dall’AdE, per la Commissione Tributaria era considerata “discriminatoria”, in quanto nei casinò italiani il prelievo è applicato alla fonte (è la casa da gioco che trattiene e versa le somme destinate all’Erario), mentre per quanto concerne le vincite all’estero, l’AdE le considera come “altri redditi”.
La Commissione Provinciale romana, pur molto scettica, ha però chiesto chiarimenti alla Corte di Giustizia Europea, sollevando la questione pregiudiziale, proprio per decidere se tale “sistema” poteva essere imposto e giustificato per motivi di ordine pubblico, sicurezza e salute pubblica (contrasto alle ludopatie). Ma per la Commissione Europea non vi è alcuna giustificazione a tale violazione.
La stessa Commissione UE richiama una precedente sentenza della Corte (causa C-153-08), come ricorda l’Agenzia Agimeg: “le autorità di uno Stato membro non possono validamente presumere, in maniera generale e senza distinzioni, che gli enti stabiliti in un altro Stato membro si dedichino ad attività criminali. Per di più, negare in maniera generale il beneficio dell’esenzione fiscale a tali enti appare sproporzionato, perché eccede quanto necessario per combattere la criminalità. Esistono, infatti, diversi metodi per controllare i loro conti e le loro attività”.
La differenza di trattamento tra le vincite “non appare né idonea, né proporzionata a raggiungere l’obiettivo di prevenire il riciclaggio di denaro sporco. Infatti, se anche i proventi della criminalità organizzata in Italia nel 2011 ammontino a 150 miliardi di euro, non si evince in alcun modo che tali proventi siano tutti o maggiormente stati realizzati all’estero, ragion per la quale è difficile comprendere il trattamento discriminatorio delle vincite conseguite in casino stabiliti in altri Stati membri”.
E l’interpretazione italiana non è giustificata neanche in merito al contrasto delle ludopatie: “il fatto di scoraggiare, mediante un sistema di imposizione fiscale, il gioco d’azzardo effettuato in altri Stati membri sia idoneo ad evitare la ludopatia, quando lo stesso disincentivo di natura fiscale non sia applicato alle vincite da gioco conseguite in Italia”.
A seguito di questo parere, la Corte di Giustizia - nei prossimi mesi - potrebbe mettere la parola fine alla raffica di contestazioni fiscali che hanno raggiunto parecchi giocatori di poker italiani. L’operazione “All in” vacilla.