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Barry Greenstein

Barry Greenstein: “Phil Ivey? Per me, lui è come un figlio”

Tra i giocatori più riconosciuti e riconoscibili durante l’era del boom del poker c’era sicuramente anche Barry Greenstein. Famoso per regalare una copia del suo libro a chiunque lo eliminasse da un evento, e per devolvere in beneficienza i proventi dei suoi in the money nei tornei, Barry Greenstein si è guadagnato il soprannome di Robin Hood del poker.

Sebbene oggi non sia più sulla cresta dell’onda come qualche anno fa, il pokerista americano, 62 anni compiuti lo scorso 30 dicembre, si diverte ancora con le carte in mano. Di recente ha ottenuto un buon 37° posto al PokerStars Championship Bahamas Main Event, aggiungendo poco meno di $15.000 ai suoi oltre 8 milioni di dollari vinti in carriera nei tornei di poker live.

“PokerStars? Altro che bad actor,  è un good actor”

In una recente intervista rilasciata ai colleghi di Pokerfuse, Barry Greenstein ha toccato numerosi argomenti. Si è parlato anche di poker online e di come PokerStars sia stato definito bad actor da molti stati americani, per aver continuato ad operare nel mercato statunitense anche dopo l’UIGEA del 2006.

Secondo Greenstein, il fatto che PokerStars sia stata l’unica compagnia ad essersi veramente presa cura dei propri clienti e ad assicurarsi che ognuno ricevesse indietro i propri soldi dopo il Black Friday, avrebbe dovuto garantirle l’etichetta di “good actor”. Barry ritiene che PokerStars avrebbe dovuto essere il primo sito ad ottenere una licenza negli USA.

Parlando di poker online in generale, Barry Greenstein ha affermato che lo standard di sicurezza è più alto rispetto a quanto lo sia nel poker live: “Siti come PokerStars lavorano incessantemente per impedire casi di cheating e per restituire i soldi persi ai giocatori eventualmente defraudati”, cosa che nel gioco live non succede.

Barry Greenstein e il rapporto con Joe Serok

Il Robin Hood del poker ha parlato a lungo anche della sua famiglia, a cominciare dal suo figliastro Joe Serok. Greenstein ha svelato che Joe non aveva mai giocato a poker fino a 27 anni, perché il patrigno avrebbe voluto per lui una vita diversa dalla sua.

Tuttavia, dopo che l’attività online del figlio non è andata a buon fine, il padre ha accettato di insegnargli a giocare a poker: “Nel giro di un anno, Joe ha fatto due tavoli finali alle WSOP e alla fine ha vinto milioni di dollari”. Del resto, con un insegnante del genere non ci si poteva attendere di meno.

Serok ormai si è ritirato (“Quando iniziò, mi disse che avrebbe voluto giocare al massimo per cinque anni”) e oggi lavora come recruiter nel settore dell’alta tecnologia, dopo aver anche cercato di “salvare” Ultimate Bet – nel 2009 – addirittura rifiutando un lavoro nel marketing proprio in PokerStars, dove il padre era già membro del Team Pro.

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Di beneficienza e di… Phil Ivey

L’intervista non poteva non toccare anche l’argomento beneficienza, da sempre molto caro a Barry Greenstein: “Ho sempre pensato che avrei dovuto fare qualcosa di produttivo, per giustificare la mia esistenza in qualità di giocatore di poker”.

Da qui l’idea di devolvere in beneficienza i proventi delle sue vincite nei tornei: “Il poker non era un lavoro che producesse fisicamente qualcosa: fare beneficienza mi permetteva almeno di dare un contributo positivo al resto del mondo”.

Il poker pro americano ha anche parlato di Phil Ivey, definendolo uno suo grande amico nonché “figlio, pokeristicamente parlando”. Greenstein ha ricordato di come No Home Jerome, solitamente restio a concedersi ai media, abbia accettato di buon grado di girare il documentare Life of Ivey solo ed esclusivamente perché a condurre l’intervista c’era Tina, la figlia di Barry.

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