Mai come in questo momento le politiche fiscali nel gioco pubblico sono un tema di strettissima attualità per il mondo politico ed i media generalisti, a causa del recente calo del gettito erariale.
Nei primi nove mesi del 2012 le entrate fiscali relative ai giochi si riducono complessivamente dell'8,3% (-858 milioni di euro mancano all’appello). A pesare sono soprattutto i 517 milioni di flessione del lotto (-10,1%).
Eppure gli italiani giocano sempre di più in generale, ma snobbano i giochi tradizionali di "pura fortuna": il Super Enalotto ha registrato una contrazione del 25% delle giocate.
Il dibattito si è incendiato pochi giorni fa, durante le primarie del Partito Democratico, quando il candidato Matteo Renzi (nella foto) è entrato a bomba sullo scottante tema, durante il confronto televisivo con il rivale Bersani: “nel 2002 su 12 miliardi di euro di raccolta la tassazione era al 30% e dal gioco uscivano 4 miliardi di euro. Adesso siamo su una raccolta di 80 miliardi di euro e la quota erariale è di appena 8 miliardi”.
Comprendiamo il messaggio politico ma i termini del paragone sono tecnicamente sbagliati: in molti giochi, le tasse non si calcolano sul turnover ma sui margini e per questo motivo la raccolta lorda non può essere l'unico elemento da valutare. Ogni gioco ha un sistema di tassazione differente: si tratta di un’indagine molto più complessa ed inoltre non si tiene conto che gran parte della frenata delle entrate fiscali nel 2012 è dovuta al caso, ovvero alle maggiori vincite ottenute dagli scommettitori nel lotto (approfondiremo meglio la questione). In generale, i giocatori sono riusciti ad incassare una somma complessiva superiore del 23% rispetto all'anno precedente.
Sovente, gli osservatori esterni fanno un errore: non tengono conto che nel gaming è fuorviante fare analisi solo per 8 mesi (la varianza delle vincite ha il suo peso specifico). Per Renzi l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare ad introiti per il fisco pari a 20 miliardi di euro (più del doppio). Una cifra che – a prima vista – pare sproporzionata: ma non è che in questo caso vale il detto ‘chi troppo vuole nulla stringe’?
Inoltre, certe proposte sembrano sconfessare l’attuale azione di Governo (con il DL Balduzzi) che sta - in maniera responsabile - affrontando per la prima volta problematiche non secondarie come quelle derivanti dalle ludopatie (con importanti ricadute sociali e un aumento di costi indiretti per lo stato) e dal gioco minorile. Si potrebbero scrivere trattati sull'argomento ma non andiamo fuori tema.
La cosa che ci fa più paura è che molto spesso si ragiona, quando si parla di politiche fiscali nel gioco, solo in ottica di breve (brevissimo) periodo e non si tiene conto di un concetto basilare: aumentare la pressione fiscale significa solo diminuire ulteriormente il payout (la percentuale del denaro giocato che torna nelle tasche dei giocatori), il che vuol dire affondare i giochi colpiti da una tassazione più alta (rendendoli meno attrattivi), con le entrate destinate a diminuire in modo drastico nel medio/lungo periodo. La storia di questo comparto insegna, così come le esperienze estere (Francia ad esempio).
Il settore, con un aumento delle imposte rischierebbe il collasso, con un ulteriore crollo del gettito e dell'occupazione. Esistono ancora margini per lo Stato ma vanno individuati in altri ambiti con politiche mirate ed equilibrate. L’aumento della pressione fiscale è una strada che porta ad ottenere effetti contrari a quelli voluti. Se l’erario individua nel gioco una risorsa da “sfruttare” nel lungo periodo, l’unica soluzione è razionalizzare il sistema fiscale e non solo, come indicato dal direttore generale di AAMS, Luigi Magistro.
Facciamo un esempio: se nelle scommesse sportive (settore in crisi a causa dell’esistenza di reti parallele, in alcuni casi riconosciute legittime dalla Corte di Giustizia Europea) la tassazione si applicasse sul profit e non sul turnover, i nostri bookmakers sarebbero più competitivi, potendo offrire sul mercato quote più attrattive, magari favoriti anche da una maggiore libertà operativa (sui palinsesti soprattutto).
In questo caso gli italiani scommetterebbero sempre di più nella rete autorizzata con immediati benefici per l’erario e l’occupazione. Questo è solo un esempio ma vi sono altri punti dove è possibile agire (ne parleremo più diffusamente in un articolo a parte).
Ricordiamoci che il gaming italiano – ad agosto – per la prima volta ha fatto registrare una regressione degli incassi: un campanello d’allarme che dovrebbe far riflettere. Chi non esita a mettere in evidenza gli errori di valutazione di Renzi è il presidente della Sapar (una delle sigle più influenti nel mondo degli apparecchi da intrattenimento), Raffaele Curcio: “il sindaco di Firenze ha erroneamente evidenziato che dall'anno 2002 ad oggi la tassazione sui giochi è scesa notevolmente, passando dal 30% al 10%. In realtà, bisogna innanzitutto tener presente che mentre nel 2000 la raccolta era di soli 14 miliardi, da cui l'erario ricavava 4,2 miliardi, nel 2011 il turnover ha sfiorato gli 80 miliardi, ma ben 61,5 miliardi (77%) sono tornati ai giocatori in forma di vincite. Questo significa che la raccolta netta è stata di 18,4 miliardi, di cui quasi la metà (8,7 miliardi) è confluita nelle casse dello Stato.
Il riferimento corretto - prosegue Curcio - per rilevare l'incidenza della tassazione, dunque, è la raccolta netta e non il giro d'affari. Sotto questo profilo, infatti, sempre riferendoci ai dati ufficiali Aams, negli ultimi anni c'è stato un incremento: ad esempio, nel 2006 la raccolta netta è stata di 12,1 miliardi, mentre l'erario ne ha incassati 6,7; nel 2009 a fronte di una raccolta netta di 16,8 miliardi le entrate erariali sono state di 8,8 miliardi. Queste precisazioni sono importanti, perché dalle parole di Renzi sembrerebbe addirittura che lo Stato ci stia rimettendo”.
Gioco e tasse - fine prima parte – continua
Continueremo la nostra analisi individuano quali sono le reali cause che hanno provocato una diminuzione del gettito nel 2012 con un’importante precisazione da parte dell'attuale Governo nella lettura dei dati.