La Suprema Corte degli Stati Uniti ha respinto il ricorso presentato da Lawrence DiCristina, organizzatore di partite live clandestine a New York. L'uomo dovrà ora scontare 10 anni di carcere, in forza della sentenza di secondo grado. I giudici non hanno ritenuto il caso meritevole di attenzione: non vi sono problematiche di natura interpretativa e applicativa della costituzione.
In altre parole, la Corte non ritiene che vi siano pregiudiziali costituzionali da analizzare in questa storia. DiCristina ha deciso di deporre le armi e di accettare la sentenza di condanna di secondo grado.
Per i media statunitensi (in primis Bloomberg) il fatto che l'uomo lucrava sulle partite, guadagnando decine di migliaia di dollari ogni sera, ha indotto i giudici ad assumere una posizione (sotto il profilo anche “politico”) neutrale: d’altronde la Corte Suprema ha giudicato corretta l’interpretazione dei colleghi dell' Appello. Inutile intervenire.
DiCristina gestiva un bel business legato al gioco non autorizzato e, per questo motivo, i giudici statunitensi sono stati intransigenti, perchè la sua condotta rientrava nella fattispecie prevista dalla Legge Federale.
In estrema sintesi, si ravvisa una condotta penale, quando il fatturato giornaliero è di almeno 2mila dollari al giorno. Ma cerchiamo di ricostruire la storia processuale.
IL CASO. DiCristina organizzava partite clandestine di cash game nel suo locale (un magazzino) a New York, trattenendo il 5% su ogni piatto giocato. L'organizzatore offriva ai propri clienti, cibo, bevande ed aveva messo in piedi un bel servizio di sicurezza. Il giro d’affari era importante.
In primo grado (giudice Jack B. Weinstein), l'uomo era stato assolto dalle accuse della Procura (accogliendo la tesi difensiva che il texas hold'em era un gioco d'abilità e non aveva bisogno di alcuna autorizzazione). Per la prima volta, un tribunale federale aveva riconosciuto il poker come una pratica legale.
Ma nel 2012, la Corte d'Appello l'aveva condannato a 10 anni di reclusione per aver violato la legge federale "Illegal Gambling Business Act" (IGBA), considerando che in questo caso, si ravvisava il requisito fondamentale del fine di lucro. Inevitabile il ricorso in terzo grado, caduto però nel nulla.
CONCLUSIONI. La Corte Suprema non ha dichiarato il poker live illegale e non lo considera un gioco d’azzardo, in poche parole, non si è espressa, non è voluta entrare nel merito. Per i giudici, il caso non solleva questioni costituzionali e pertanto non può rientrare nell'agenda della Corte stessa. In Appello, i magistrati avevano applicato correttamente la normativa federale IGBA, non vi era alcun vizio formale.