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Doyle Brunson, cinquant’anni di battaglie tra sogni spezzati, poker e cancro

Che Doyle Brunson sia una leggenda vivente è un fatto noto a chiunque, anche se la maggior parte delle persone associa la sua grandezza soprattutto ai risultati che ha ottenuto ai tavoli. Se è innegabile il contributo che Texas Dolly ha dato alla popolarità del poker, così come lo sono i suoi successi (10 braccialetti WSOP e 6.1 milioni di dollari vinti in tempi nei quali non c’erano super high roller), è meno conosciuta la battaglia che da oltre cinquant’anni combatte con il suo corpo. Brunson ha infatti dovuto lottare per quasi tutta la sua vita contro una serie di mali piuttosto gravi, che lo hanno costretto a sottoporsi a tanti delicati interventi chirurgici.

Il primo grande problema di natura fisica si verificò quando non aveva ancora compiuto vent’anni. Negli anni del liceo Doyle si era fatto un nome ottenendo diversi record statali nell’atletica leggera. Nel 1950, a 17 anni, corse un miglio in 4 minuti e 43 secondi stabilendo il nuovo primato collegiale del Texas. La sua grande passione, però, era il basket, sport nel quale dominava nonostante un’altezza di 188 cm.  Dopo il diploma era considerato unanimemente come una delle cinque più grandi promesse del basket in Texas. Per questo motivo fu addirittura messo sotto osservazione dai Lakers, che all’epoca giocavano a Minneapolis e non a Los Angeles. Brunson avrebbe potuto ottenere un contratto da professionista e giocare in NBA, ma nell’estate dopo il diploma, mentre svolgeva un lavoretto estivo, si spaccò il bacino e si fratturò il ginocchio in due punti. La diagnosi fu una sentenza: non solo non avrebbe mai potuto giocare professionalmente a basket, ma avrebbe anche avuto problemi a camminare per il resto della sua vita.

Per questo motivo, ancora oggi, lo si vede girare nelle poker room con una carrozzina elettrica: la sua non è pigrizia, ma l’impossibilità di camminare e muoversi normalmente. Anche riguardando le vecchie immagini dei Main Event vinti si può notare il bastone da passeggio di fianco alla sua sedia, nonostante all’epoca fosse molto più giovane.

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Doyle e Todd Brunson

Un infortunio del genere risulterebbe devastante per chiunque, ma non per Doyle: l’allora 20enne decise di non abbattersi e si laureò in tempi record all’Università del Texas. Parallelamente rimase folgorato dal poker, a cui si dedicò con sempre maggiore regolarità. Dopo la laurea si prese un anno per testare le sue abilità con le carte e dopo aver visto che c’erano molti soldi da fare, abbandonò tutto per diventare un rounder a tempo pieno, girando per Texas, Oklahoma e Louisiana con Amarillo Slim e Sailor Roberts.

L’incidente alla gamba e al bacino si rivelò dunque un’opportunità per Brunson, ma i suoi problemi fisici non finirono certamente negli anni ’50. Nel 1962, quando la sua carriera di poker pro era ben avviata e aveva già guadagnato abbastanza soldi da poter metter su famiglia con la moglie Louise, una notizia sconvolse la sua esistenza: quello che sembrava un semplice dolore alla schiena si rivelò un tumore maligno al collo. I medici comunicarono a Doyle che aveva poche settimane di vita e che un’eventuale operazione sarebbe servita soltanto ad allungargli la vita abbastanza da assistere alla nascita del suo primogenito Todd.

L’operazione andò bene, ma ovviamente non ci furono festeggiamenti perché tutti erano convinti che di lì a pochi mesi Doyle se ne sarebbe andato per sempre. Invece successe qualcosa di incredibile, che ancora oggi il 10-volte campione WSOP non sa spiegarsi: dopo la nascita di Todd i medici lo convocarono per comunicargli che dagli esami di controllo risultava che il tumore fosse completamente sparito. Furono svolti ulteriori test fino ad arrivare alla certezza che non c’era più alcuna traccia del tumore.

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Un vero e proprio miracolo, che spinse l’allora 31enne a godersi la vita a pieno e sempre con il sorriso sulle labbra. Non a caso, proprio dopo essere sopravvissuto al tumore al collo iniziò a macinare milioni di dollari, prima nelle partite private e poi nei tornei. Nonostante i successi al tavolo e la sempre crescente fama a livello nazionale, però, Doyle ha continuato a combattere una durissima guerra personale contro il cancro: nel 1971 la moglie si ammalò e lo sconfisse solo dopo diversi anni, mentre lo stesso Brunson, dal 1962 a oggi, lo ha sconfitto per ben sei volte. L’ultima delle quali pochi giorni fa, quando si è sottoposto all’ennesima operazione chirurgica per rimuovere un cancro alla pelle. Su Twitter ha commentato in questo modo:

“Il cancro #6 è andato. Bye bye carcinoma squamocellulare. Ora sei semplicemente un’altra cicatrice sulla mia testa piena di cicatrici”

Un’altra vittoria per il Padrino del poker, che nel corso della sua carriera lunga più di mezzo secolo è riuscito ad avere la meglio su qualsiasi avversario a poker proprio come ha fatto con i tanti problemi fisici che lo hanno afflitto. Anche se ciò che avviene al tavolo non può essere paragonato a una battaglia contro un tumore, è innegabile che l’atteggiamento positivo e sempre determinato di Doyle Brunson sia un esempio per chiunque. Oggi il campione del Texas ha deciso di smettere con i tornei live ma continua a giocare (e a vincere) con grande costanza nelle partite high stakes di Las Vegas.

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