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Perché arrivare secondi non deve essere un dramma: la lezione di Roger e Dario

DISCLAIMER: questo articolo non è un tentativo di apparentare il poker al tennis, né tantomeno di paragonare Roger Federer a Dario Sammartino. Si tratta solo delle impressioni soggettive di un cronista appassionatissimo di entrambe le discipline.

Vincere è importante, ma il percorso conta di più

Chi vi scrive tifa Juventus, ma si è sempre trovato parecchio in imbarazzo di fronte al famoso motto del vincere come unica cosa che conta. Questa considerazione preliminare non c’entra una mazza con quanto vi sto per dire, ma è un buon viatico per introdurre il vero protagonista di questo articolo: il percorso.

Dopo diversi anni – e qualche occasione persa – in casa bianconera hanno forse finalmente capito l’importanza del percorso che ti porta a vincere, non solo del mero atto di superare gli avversari. Si tratta di una rivoluzione epocale, quasi di stampo leopardiano: appurato che vincere in Europa è difficile e necessita di elementi anche aleatori (dunque non prevedibili), l’attesa del successo può diventare essa stessa il successo, se soddisfa il palato del pubblico pagante. Se poi un percorso gradevole si conferma come rampa di lancio d’eccellenza verso l’agognato successo, allora saranno tutti contenti. In caso contrario, ci saranno comunque meno rimpianti o frustrazioni.

Cosa c’entra questo con Wimbledon e le WSOP? Pochino, a dire il vero. Ma se mi permettete di guidarvi in questo viaggio nelle varie declinazioni della goduria, forse comincerete a vedere le cose come il sottoscritto.

Lo spunto per questo editoriale viene da una doppia delusione sportiva o, per meglio dire, un doppio straordinario successo solo accarezzato. Parlo ovviamente della finale persa da Roger Federer a Wimbledon e del secondo posto di Dario Sammartino al WSOP 2019 Main Event. Due eventi a loro modo storici ma che poco o nulla hanno a che fare uno con l’altro. O forse sì.

Roger Federer & Dario Sammartino: la qualità che mitiga la delusione

L’elemento in comune è la delusione. Quello che però diventa il fattore di novità è la qualità di questa delusione. Noi siamo stati educati a cliché che vengono comunemente accettati ma che non rappresentano una verità assoluta. Uno per tutti: il vincitore entra nella storia, mentre dei secondi non si ricorderà nessuno. Ecco, oggi più che mai posso confermarvi che questa è una autentica stronzata.

Non sto qui a cercare di indorare la pillola. Sappiamo tutti che il nono Wimbledon da parte di Roger Federer sarebbe stato una sorta di apoteosi del tennis sognato, quello ideale che ogni tifoso sogna di vedere materializzarsi. Analogamente, chi segue il poker conosce l’importanza inimmaginabile che avrebbe avuto vedere un giocatore italiano vincere per la prima volta il WSOP Main Event, e soprattutto nell’edizione del cinquantenario. In entrambi i casi non è successo per questioni di centimetri, o se vogliamo di secondi che separano un call sbagliato da un fold saggio, o viceversa. Però non stiamo lì a girarci intorno: NON È SUCCESSO.

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Il ricordo di questo match sarà indelebile, per chi c’era ma anche per chi vi ha assistito da casa

La schiavitù “mainstream” del risultato

Tuttavia noi italiani (e non solo juventini) abbiamo un problema: l’essere costantemente result oriented. Nella cultura mainstream chi vince è un figo, mentre chi perde è destinato all’oblio. Ma davvero qualcuno che ha visto Federer-Djokovic o il final table dell’ultimo Main Event WSOP può pensarlo davvero?

Guardare ai numeri e alle statistiche è giusto, per mettere nel giusto ordine carriere e prestazioni. Ma non è il solo parametro che il singolo appassionato possa o debba ricercare. Oltre alle cifre ci sono elementi molto meno quantificabili come il puro piacere estetico, il godimento per un gesto tecnico o atletico, il sogno dell’emulazione. Ma c’è un elemento che più di ogni altro rende prezioso e unico l’avere assistito a questi due spettacoli, comunque sia andata a finire. Si tratta della qualità, più precisamente della qualità del tempo che abbiamo trascorso.

Istanti infiniti

La qualità del tempo trascorso nell’era dei selfie

Qualcuno le chiamerà semplicemente “emozioni” ma si tratta di un concetto intimamente legato con il tempo. L’era dei social network ha accentuato all’estremo la sensazione di padronanza del tempo, una percezione fallace che infatti tendiamo tutti a cercare di compensare con gli strumenti a nostra disposizione. Il selfie, lo screenshot, un post celebrativo. Tutti atti che sono utili a ribadire che “io c’ero”, ma anche tentativi di catturare quei momenti e – in qualche modo – fermare o dominare il tempo. La verità, però. è come sempre più cruda. Il tempo trascorre comunque e non è tramite un selfie, che un evento diventa in qualche modo imperituro, ma grazie a quello che ci lascia dentro.

Noi siamo quello che ci resta dentro

I due match point falliti da Federer, così come il combo-draw non chiuso da Sammartino, difficilmente usciranno dalla mia come dalla mente di chi ha assistito con passione o trepidazione a uno o l’altro evento. Ma non saranno crucci che riaffiorano per ricordarci di due sconfitte, bensì segnalibri della memoria, che ci aiutano a ricordare quali meravigliose ore abbiamo trascorso, incitando il nostro campione preferito. E pazienza se il risultato non è arrivato, perché nella mia mente torneranno la demi-volée inventata da Roger su una palla break nel quarto set, ma anche il cross sulla riga di Nole dopo uno scambio da 26 colpi e il volto trepidante di Mirka sul contro-break subito dal leggendario marito. Analogamente, della notte insonne passata a seguire Dario, nei ricordi di chi era a casa rimarranno il call con Q alta, il sorriso da attore consumato che affiora nella poker face di Dario Sammartino quando la tensione della mano è sfumata, la trepidazione per i momenti di crisi e l’esaltazione per quelli in rimonta.

La curva che non ha smesso un attimo di incitare Dario. Sono momenti che rimarranno nel cuore di chi c’era, al di là del braccialetto vinto o perso

Ma anche in chi era lì, dentro l’Amazon Room a fare sentire il proprio supporto, quella dell’altra notte rimarra comunque un’esperienza straordinaria e indimenticabile. Le lacrime nascoste di Dario Sammartino, ma anche quelle esposte dell’amico Antonio Smeraglia, non saranno ricordate dai protagonisti con tristezza o dolore, ma come contrappunto di un momento topico della vita, vissuto, assaporato e goduto fino in fondo come andava fatto.

Quando i giorni torneranno a essere un po’ troppo uguali uno all’altro, i ricordi di momenti così coinvolgenti ci accompagneranno convogliando una impagabile sensazione di piacere. Un piacere che esisterà comunque, anche se il nono Wimbledon e il primo braccialetto italiano al Main Event non sono arrivati.

"Assopoker l'ho visto nascere, anzi in qualche modo ne sono stato l'ostetrico. Dopo tanti anni sono ancora qui, a scrivere di giochi di carte e di qualsiasi cosa abbia a che fare con una palla rotolante".
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