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Dio salvi i tornei Super High Roller

Sono una pessima lezione di bankroll management, rappresentano tutto tranne che l'approccio imprenditoriale al poker e vivono di numeri viziati ed inverosimili: i tornei Super High Roller sono un mondo a parte, finto, luccicante e forse insostituibile.

Ci sono pochi dubbi, circa il fatto che partecipare ad eventi re-buy del genere - dove anche su field ridotti la varianza rimane alta e l'edge sugli avversari è minima quando esistente - sia impossibile per chiunque non abbia voglia di azzardare, e si potrebbe riflettere a lungo se questo possa considerarsi un buon esempio o piuttosto il contrario.

Nelle molte discussioni che sono seguite a proposito di questo fenomeno, però, non si è cercato di far proprio il punto di vista dello spettatore occasionale, che in fondo dovrebbe essere uno dei bersagli privilegiati di uno show simile: in quest'ottica, eventi del genere sembrano più che benvenuti. Proviamo a rifletterci.

Phil Ivey, qui nell'heads-up perso contro Andy Frankenberger alle WSOP

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Quanti e quali giocatori famosi, esclusi gli italiani, pensate possa conoscere un vostro amico che abbia solo sentito parlare occasionalmente di poker? I nomi saranno sempre gli stessi, e drammaticamente pochi: Daniel Negreanu, Phil Ivey, Tom Dwan, Jason Mercier, forse Patrik Antonius, Phil Hellmuth e Viktor Blom, difficilmente Phil Galfond, certamente mai Isaac Haxton o Doug Polk, per tacere degli altri.

Nell'elencarli possiamo esserci sbagliati di tanto o di poco, ma non è questo il punto. Il problema vero è che in un torneo tradizionale questi nomi non emergeranno quasi mai, per le note ragioni legate alla numerosità del field ed agli inevitabili capricci delle carte: variabili in gioco ben note a chiunque faccia del poker la propria professione o lo segua assiduamente, ma possiamo dire lo stesso per tutti gli altri?

Chi segue più o meno distrattamente una disciplina qualsiasi ne conosce pochi esponenti di spicco, ed è loro che vuol veder primeggiare: pochissimi sono coloro disposti ad imparare che possono esserci anche altri validi protagonisti, il più delle volte questo è uno sforzo che viene volentieri evitato. Ne consegue che o arrivano in fondo quei pochi o la manifestazione nel suo complesso perde di interesse per molti.

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Ryan Riess ritratto al PCA High Roller da 100.000 $ (photo courtesy Joe Giron)

Al contrario, veder vincere Phil Ivey è una conferma di quello che si è sempre creduto, a proposito di quali siano i reali valori in gioco: poco importa se online in una sfida heads-up su un gran numero di mani sia in realtà Isaac Haxton ad essere favorito, e cinicamente neppure ci interessa se Negreanu faccia bene o male a investire centinaia di migliaia di dollari in questi eventi, visto che non si tratta di soldi nostri.

I tornei Super High Roller danno al grande pubblico quello che vuole vedere: un pugno di facce note che lottano fra loro per un sacco di soldi. Facendo proliferare campioni che nascono la mattina e scompaiono la sera regaliamo sì il sogno che chiunque possa vincere, ma inflazionando questo fenomeno rischiamo anche di confondere e disinteressare, perché chi mai può affezionarsi ad un viso che non di rado non rivedrà mai più?

In qualsiasi disciplina sportiva, i campioni più amati sono spesso quelli che vincono di più e meglio degli altri: sappiamo che il poker non sia uno sport, ma come sostiene il patron del GPI Alex Dreyfus se vogliamo che rimanga popolare forse non dobbiamo limitarci a sfornare sempre nuovi personaggi, ma rendere ancora più "speciali" quelli che già lo sono diventati.

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