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Jonathan Little ed una “merging bet” al Main Event WSOP

[imagebanner gruppo=gdpoker] Jonathan Little non è nuovo a commentare mani interessanti che emergono nei tornei di poker dal vivo, e quindi non è una sorpresa che – durante il tavolo finale del Main Event WSOP – anche i suoi occhi fossero puntati sulla diretta streaming.

In particolare, lo statunitense ha recentemente esaminato una mano giocata nella fase finale del torneo, quando al tavolo rimanevano solamente Jorryt van Hoof, Felix Stephensen e Martin Jacobson: lo scontro in questione vede protagonisti i primi due, col norvegese che riuscirà a raddoppiare ai danni di “The_Cleaner11”.

In particolare, van Hoof si trova sul bottone con j 5 , e decide di aprire il gioco a 2.600.000 su bui 600.000/1.200.000 con uno stack da 87.400.000 fiches, quando Jacobson è sul piccolo buio con uno stack simile e Stephensen invece sul grande buio è il più corto, trovandosi alle spalle con 21.400.000 fiches una volta messo sul tavolo il big blind.

“Malgrado non mi piaccia aprire in maniera particolarmente ampia quando sul grande buio c’è il giocatore shortstack – premette Little – è chiaro che in una situazione di gioco three handed si debba cercare di sfruttare la posizione del bottone il più possibile.

Una volta che Jacobson passa, Stephensen decide di chiamare con 9 8 , una decisione corretta secondo Little, che tuttavia aggiunge come a suo avviso potrebbe anche 3-bettare all-in preflop, nel caso in cui creda van Hoof apra da bottone con un range particolarmente ampio.

jorryt-van-hoof-wsop

Il flop è così 9 4 3 , su cui entrambi i giocatori decidono di checkare: “Al posto di van Hoof penso che avrei c-bettato al flop – prosegue Jonathan – mi aspetto di venire floatato spesso, ma credo che sapendolo possa puntare sia al flop che al turn”. Ed invece al turn punta Stephensen.

Il norvegese, una volta che cade il 5 , betta infatti 4.000.000 su piatto di 6.400.000, con van Hoof che chiama e Little che crede la giocata di entrambi sia corretta: “Felix in questo modo estrae valore da una serie di mani peggiori e si protegge dalle overcard – spiega – quanto a van Hoof, una volta che trova il cinque penso non possa far altro che chiamare”.

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Al river cade il k , ed è qui che Felix Stephensen decide di andare all-in in overbet, venendo chiamato dall’olandese e trovando quindi il double-up. Il norvegese ha così messo in pratica una merging bet, che Little spiega in questo modo.

“Una volta che van Hoof checka al flop e chiama al turn, non penso abbia molte combo di colore o di Kx nel suo range – prosegue – perché le prime dovrebbe puntarle al flop, mentre con diversi K non dovrebbe chiamare la puntata al turn”.

Di conseguenza, Stephensen potrebbe pensare che nel range di van Hoof ci siano diversi bluffcatcher e poche mani che lo battano, molte delle quali avendo shodown value si limiterebbero magari a checkare dietro, nel caso in cui non puntasse.

Andando all-in il norvegese intende cioè rappresentare un range polarizzato, sperando in questo modo di farsi chiamare dai bluffcatcher di van Hoof, che grazie alla sua coppia di nove batte, ed alla fine è proprio quello che succede.

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