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La teoria del grinding (2° parte)

Per la seconda parte dell’ottimo post di Tony “Bond18” Dunst inserito sul forum di TwoPlusTwo, riprendiamo la traduzione dall’estratto del libro Outliers di Malcolm Gladwell.

“La prima prova sull’argomento talento è uno studio fatto nei primi anni 90 dallo psicologo K. Anders Ericsson insieme a due colleghi dell’elitaria Accademia della Musica di Berlino. Con l’aiuto dei professori, i violinisti della scuola vennero divisi in tre gruppi: nel primo c’erano le stelle, gli studenti col potenziale per diventare solisti di fama mondiale. Nel secondo c’erano quelli giudicati semplicemente bravi e nel terzo gli studenti che, verosimilmente, non erano destinati a diventare musicisti professionisti ma bensì insegnanti nella scuola pubblica.

A tutti i violinisti fu poi chiesto di rispondere alla stessa domanda: ‘Nel corso della vostra carriera, da quando avete preso lo strumento in mano per la prima volta, per quante ore vi siete esercitati?' Tutti gli appartenenti ai tre gruppi avevano iniziato alla stessa età, più o meno a cinque anni. All’inizio, tutti si esercitavano con pari frequenza, due/tre ore a settimana, ma poi - intorno all’età di 8 anni - iniziavano ad emergere le prime differenze.

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Gli studenti che sarebbero poi diventati i migliori delle rispettive classi avevano cominciato a suonare molto più spesso di tutti gli altri: 6 ore all’età di 9 anni, otto ore a settimana ai 12 anni, 16 ore ai 14 e poi a salire fino a 30 ore all’età di 20 con l’intento di diventare sempre più bravi. Infatti, a quella età i migliori della scuola avevano totalizzato ognuno 10.000 ore di pratica con lo strumento. Al contrario, i ragazzi ritenuti semplicemente bravi ne avevano collezionate circa 8.000 ed i futuri insegnanti qualcosa più di 4.000 ore.

Ericsson ed i suoi colleghi compararono successivamente anche i pianisti dilettanti a quelli professionisti. Dallo studio emersero gli stessi pattern: i suonatori amatoriali non avevano raggiunto le 2.000 ore di pratica all’età di ventanni mentre i professionisti avevano costantemente aumentato le ore di studio arrivando, proprio come i violinisti, a complessive 10.000 ore di esercitazioni.

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L’aspetto che più colpisce di questo studio è che Ericsson ed i suoi colleghi non erano riusciti a scovare alcun musicista “naturale” che senza troppo sforzo fosse riuscito ad eguagliare la bravura di altri studenti esercitandosi meno, e neanche qualcuno che nonostante avesse lavorato più degli altri non aveva semplicemente le capacità per emergere tra i migliori.

Questa ricerca suggerisce dunque che una volta che un musicista ha sufficienti abilità per entrare in una scuola importante, la differenza fra un artista ed un altro la farà la quantità di esercizio svolto. Questo è tutto. Ed inoltre, le persone al top non lavorano al pari o leggermente di più rispetto ad altri ma lo fanno molto ma molto di più.

L’idea che per eccellere nell’esecuzione di un compito complesso sia richiesto un minimo livello di pratica emerge in molti altri studi specifici sull’argomento. Infatti, i ricercatori sembrano ormai tutti concordi sul fatto che il numero magico di ore necessarie per raggiungere la vera compentenza in qualcosa sia pari a 10.000.” (continua)

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