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Novak Djokovic

Novak Djokovic contro tutti, stavolta su tennis e scommesse

Se c'è una qualità in cui Novak Djokovic eccelle, a parte quelle ben note che esprime con la racchetta in mano, è la capacità di esporsi. Nole non ha mai avuto paura di dire la sua, anche a rischio di risultare impopolare. Durante il periodo del Covid se ne è accorto il mondo intero, ma è tutta la sua carriera che parla di un individuo che si trova a meraviglia nelle situazioni in cui ha tutti (o quasi) contro.

Novak Djokovic attacca su tennis, scommesse e soldi ai giocatori

L'ultimo teatro per esprimere il Nole-pensiero è stata un'intervista rilasciata alla PTPA, Professional Tennis Players Association, una sorta di sindacato per giocatori e giocatrici, fondato nel 2019 dallo stesso Djokovic insieme al collega Vasek Pospisil. L'argomento, che ogni anno sta diventando sempre più urgente, è la sostenibilità del settore.

Uno spunto recente, che ha portato la discussione a una platea non necessariamente di soli appassionati di tennis, è stata l'intervista all'indiano Sumit Nagal, giocatore intorno alla centocinquantesima posizione nel ranking ATP. Nagal aveva dichiarato di aver vinto 90mila dollari in premi nell'ultimo anno, ma di averne solo 900 sul conto in banca, praticamente quanti ne aveva a fine anno precedente.

Quello della sostenibilità del sistema è un problema aperto, che riguarda tanti tennisti di media e bassa classifica. Novak Djokovic è intervenuto su questo argomento, e anche a gamba tesa, o meglio incrociandolo con un altro tema caldo: quello delle scommesse.

L'intervista

Questo il video integrale dell'intervista, di cui tradurremo e riporteremo le parti più interessanti.

"Ai giocatori vada il 50% delle revenue che i tornei incassano dalle scommesse"

Nole va dritto al punto: "Per ragioni di integrità, a noi giocatori non è permesso di indossare patch di aziende di scommesse quando giochiamo, né ci è permesso di ottenere una quota equa dai proventi che le aziende di scommesse fanno su di noi." Per "quota equa", Nole intende il 50%. Attenzione, si parla del 50% delle revenue, ovvero del guadagno che gli organizzatori dei tornei ricevono dalle aziende di scommesse.

"Io forse sceglierei di non indossare una patch di un'azienda di betting, ma so per certo che il 95% dei miei colleghi lo farebbe". Se solo fosse permesso, s'intende.

La questione della quota dei profitti è interessante perché, alla fine della fiera, i tennisti sono i protagonisti di quello spettacolo che viene visto in tv e sui dispositivi, e su cui vengono scommesse grosse cifre da tutto il mondo, ogni ora, di ogni giorno, di quasi ogni mese dell'anno.

Il fondo pensione

"So che una quota di quello che i tornei incassano dalle aziende di scommesse finisce sul fondo pensione dei giocatori. Ma quello che pochi sanno è che un giocatore o una giocatrice, in genere, può iniziare a ricevere questa pensione solo dopo i 50 o 55 anni. Quindi, poiché molti si ritirano fra i 30 e i 35, ciò significa che tanti atleti devono attendere 15 o 20 anni prima di iniziare a vedere questi soldi", aggiunge Novak Djokovic.

"Credo che molti giocatori non abbiano ben chiara questa situazione, e quelli che ne sono consapevoli forse non spingono abbastanza su questo tasto".

Alla fine, secondo Djokovic, i tennisti danno al sistema del tennis e delle scommesse infinitamente più di quanto ricevono. Questo non riguarda solo la "fair share" di cui si parlava prima, ma proprio il fatto di avere i propri nomi a fare da attrattiva sui vari siti di betting, e anche il gigantesco database che si viene a creare, da cui i giocatori ad oggi guadagnano poco o niente.

Le spalle larghe di Novak Djokovic, anche contro l'ATP

Novak Djokovic ha le spalle abbastanza larghe per esporsi in questo argomento molto delicato, e probabilmente le avrebbe anche senza i 24 slam vinti.

Questa e altre questioni sono alla base della decisione presa 4 anni fa, di fondare un sindacato indipendente dall'ATP. Lo conferma, indirettamente, lo stesso Nole durante questa intervista: "Sono stato nel consiglio giocatori dell'ATP per almeno un decennio, ma ogni volta che abbiamo cercato di mettere sul tavolo questo tema, la discussione veniva portata sul discorso dell'integrità del gioco: dobbiamo lottare perché i giocatori non imbroglino, perché non scommettano o compromettano i tornei, eccetera. Per carità, sono tutte questioni che sposo in pieno, ma scatta poi questo giochino psicologico per cui, parlando di integrità, cerchi di sviare dall'argomento principale di cui voglio parlare."

L'argomento è di quelli tostissimi un po' ovunque. In Italia lo è ancora di più, visto che da qualche anno non è nemmeno possibile menzionare la parola "scommesse" in un contesto che non sia di settore. La verità è che i soldi che il gioco versa allo Stato ogni anno fanno comodo, ma per il resto si preferisce far finta che il settore non esista, come la polvere che si butta sotto il tappeto.

Nole lascia sempre il segno

Stavolta, però, Djokovic ha lanciato un sasso pesante, di quelli che lasciano il segno. Inutile sottolineare che questi soldi non servirebbero a Nole, che di denaro ne ha più o meno per sistemare sette generazioni. In questo caso, il serbo si è attivato per dar voce a decine e decine di colleghi che alimentano il circo, ma che poi restano con il classico pugno di mosche in mano.

Poi, al prossimo caso di match fixing, qualche tribuno a caccia di like tuonerà contro le scommesse che rovinano lo sport. Non parlerà certo del fatto che magari quel dato tennista viaggia per 250 giorni all'anno da un continente all'altro, magari spesso chiedendo aiuto alla famiglia. Nulla che giustifichi in alcun modo il fatto di truccare una partita per soldi, perché quella è una marca di disonore che rimane indelebile, ma ignorare una parte del problema è segno di una gigantesca ipocrisia. Proprio quel velo che oggi, Nole, sta cercando di squarciare.

"Assopoker l'ho visto nascere, anzi in qualche modo ne sono stato l'ostetrico. Dopo tanti anni sono ancora qui, a scrivere di giochi di carte e di qualsiasi cosa abbia a che fare con una palla rotolante".
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