Mentre si dice che PokerStars possa entrare nel mercato del New Jersey già ad ottobre, la poker room numero uno al mondo ha incassato l'endorsement di uno dei giocatori più famosi al mondo, che in passato ha contribuito tantissimo a divulgare il verbo del Texas Hold'em: Barry Greenstein.
Facile, direte voi, visto che l'americano fa parte del Team PokerStars Pro. Ma uno come Greenstein non è solito spendersi pubblicamente, se non crede davvero in quel che pensa. Barry, in un post sul suo blog, ha difeso a spada tratta la sala da poker, ritenendo che non si meriti di essere etichettata come bad actor.
Per chi ancora non lo sapesse, nel linguaggio tecnico si definiscono 'bad actor' tutti quegli operatori di gaming che non rispettano o non hanno rispettato le leggi americane. Si tratta di una forma di tutela del consumatore, entrata a far parte di tutte le legislazioni in tema poker online dei vari stati. In generale, è un'etichetta appiccicata a tutte le aziende che h anno continuato a offrire gambling online negli USA dopo l'UIGEA.

Prima che Amaya Gaming acquisisse PokerStars, gli oppositori dell'azienda sottolineavano il fatto che il fondatore, Isai Scheinberg, fosse stato accusato di aver violato l'UIGEA e nonostante ciò facesse ancora parte della compagnia. Greenstein mette in dubbio addirittura la legalità di quell'accusa, dopo anni di discussioni tra avvocati e quant'altro.
"In ogni caso, in ogni decisione presa, mi è stato detto che PokerStars aveva schiere di avvocati che esaminavano attentamente ogni dettaglio, per assicurarsi di non violare alcuna legge e che ogni azione potesse essere difesa nel caso fossero dovuti arrivare a giudizio, o per richiedere una licenza americana", scrive l'Hall of Famer.
Greenstein ha fatto l'esempio degli avvocati di PokerStars, che a differenza di altre compagnie hanno scelto la strada più sicura: "Quando lo stato di Washington ha promulgato la legge anti poker online, PokerStars ne è uscita - ha ricordato - Dato che l'UIGEA ha reso molto più difficile il processo dei pagamenti, alcune aziende hanno utilizzato metodi nascosti (e forse illegali) per continuare ad accettarli".
Il professionista americano ha anche sottolineato come poco dopo l'accusa a Scheinberg, il Dipartimento di Giustizia ha cambiato idea sul Wire Act, affermando come questo proibisse solo le scommesse sportive online, non tutte le forme di gioco virtuale: "Si pensava che quindi tutte le accuse cadessero e che PokerStars sarebbe stato riabilitato, ma a causa di quelle accuse la room valeva troppi soldi per il Dipartimento di Giustizia".
Infine, l'americano ha ricordato come i competitor di PokerStars abbiano speso "un sacco di tempo e di soldi" per fare opera di lobbying, in modo che la sua room non potesse più entrare negli USA. Ma ora che la compagnia è stata venduta ad Amaya, conclude Greenstein, il discorso del 'bad actor' perde nuovamente mordente.