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Full Tilt, la verità: lo scandalo raccontato da un azionista

howard-ledererContinua il racconto dello scandalo Full Tilt Poker, descritto da chi l’ha vissuto in prima persona: Andy Bloch, ex azionista della room. Nella sua intervista fiume a “DiamondFlushPoker”, ha spiegato che nei mesi precedenti al black friday, si era creato un buco di circa 100 milioni di dollari.

Ben 40 milioni erano finiti indebitamente nelle tasche di intermediari bancari truffaldini (necessari per aggirare l’UIGEA), in particolare, uno dei protagonisti degli ammanchi più consistenti era stato Daniel Tzvetkoff, in seguito (dopo il suo arresto) collaboratore di giustizia del FBI, le cui testimonianze hanno “incastrato” le quattro poker rooms accusate dal super procuratore Preet Bharara.

Altri 60 milioni erano stati oggetto di sequestro da parte del DOJ, già prima del 15 aprile 2011.

 

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Una volta accertata la crisi finanziaria, Bloch racconta di una trattativa con diversi potenziali nuovi acquirenti (una cordata guidata da Jack Binion e Phil Ivey, ndr) nel giugno del 2011: “l’ingresso di soci avrebbe dovuto portare la liquidità necessaria per rimborsare i players statunitensi, almeno per il 75% dei fondi. Si è aperta anche una discussione, all’interno del consiglio dei soci, per cambiare il board di controllo (del quale facevano parte Lederer, Bitar, Ferguson, Furst, ndr) e naturalmente  l’amministratore delegato”.

La trattativa però è saltata perché il cambio della guardia non è stato avvallato dagli azionisti e gli investitori hanno quindi preferito ritirarsi.  Del golpe aveva fatto parte anche Bloch. “In realtà non c’era un piano di rilancio chiaro, così come una valida alternativa a Bitar che conosceva ogni sperduto angolo della galassia Full Tilt  e soprattutto era il garante delle licenze di gioco. Lui si sarebbe comunque dimesso se ci fossero state garanzie concrete per rimborsare tutti i giocatori”.

andy-blochE’ stato un momento difficile per gli azionisti e per il futuro del sito: “c’erano troppe cose che sinceramente non mi aspettavo: la mancanza di liquidità, il numero di richieste elevato di cash out, la querela di Ivey. Alla fine gli investitori non erano così convinti di voler garantire una liquidità tale per un’operazione delicata e difficile”.

Bloch entra nel dettaglio della trattativa saltata: indiscrezioni rivelano che la congiura contro Bitar saltò a poche ore dalla votazione: più del 50% degli azionisti erano disposti a votare contro l’amministratore delegato ma qualcosa non è andato secondo i programmi stabiliti.

“Ci siamo recati a Dublino per discuterne: dovevo far parte del nuovo board insieme a Phil Gordon e Phil Ivey. Gordon è poi rientrato negli USA per questioni personali mentre Ivey si è dimostrato apatico in quei giorni agli occhi dei nuovi investitori: si presentava nel tardo pomeriggio…con i suoi orari“.

“I potenziali acquirenti li abbiamo conosciuti in Irlanda ma non stavano bene a tutti. Io avevo l’unico obiettivo di trovare una soluzione per i giocatori ma non mi sentivo a mio agio con gli altri membri del consiglio come Phil.

Anche Gordon non lo vedevo convinto: per me era venuto a Dublino solo per raccogliere prove contro Ray Bitar. Non c’erano le garanzie per andare avanti nelle trattative. Un paio di gruppi comunque sono stati molto vicini a stringere un accordo”.

Bloch conosce nel dettaglio le trattative intercorse con l’ente regolatore di Alderney (che disponeva delle licenze di Tilt): “I nuovi investitori avrebbero ricapitalizzato per 100/150 milioni, a fronte di 350 di debiti nei confronti dei players. Nel maggio del 2011, quella cifra sarebbe stata sufficiente per l’AGCC, almeno per operare in modo temporaneo ed evitare la sospensione della licenza (avvenuta in seguito il 29 giugno 2011, ndr)”.

“Certo, sarebbe stato meglio avere il 100% dei fondi ma guardate anche il settore bancario: gli istituti di credito non hanno mai la copertura totale dei depositi e ci sono certi colossi negli States, come Caesars, che non garantiscono la totalità dei depositi”. 

Su questo punto però Bloch non convince del tutto, considerando che i membri di FTP hanno sempre dichiarato il falso, ovvero che i fondi dei players erano al sicuro e non sarebbero mai stati utilizzati per la gestione della room; proprio per questo comportamento il DoJ ha aggiornato le accuse nei confronti di Bitar.

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“Con le incertezze giuridiche esistenti negli Stati Uniti, Full Tilt Poker avrebbe dovuto tutelare i giocatori dall’azione del Governo”. L’unica soluzione sarebbe stata quella di creare un conto per ogni player: “si, ma non è chiaro cosa avrebbe fatto il Governo anche in tal caso. Inoltre, diventa impossibile creare un conto bancario per ogni singolo giocatore”.

Ritornando però al periodo pre-sospensione, l’AGCC aveva chiesto al board di Full Tilt il versamento di almeno 150 milioni di dollari per garantire una parte dei depositi. “In quel periodo (maggio) in cassa alla fine c’erano solo 40 milioni. Il board era convinto di raggiungere un accordo per riuscire in un mese a ritrovarne altri 100 e chiudere un deal blindato con l’Alderney Gambling Control Commission”.

La trattativa però con Binion e soci è tramontata ed allora è dovuto scendere in campo Howard Lederer: “con un piano alternativo ‘transition 2.0’ che vedeva il coinvolgimento degli azionisti. Sarebbe stata proposta una transazione”.

chris-fergusonSappiamo tutti però come è finita e la conseguente spaccatura tra i soci: “Phil Gordon, ad esempio, non accettava di entrare nel board se c’era ancora in carica Ray Bitar come amministratore. La maggioranza però proteggeva Bitar perché le licenze erano tutte a suo nome. Era lui il garante…”.

“La proposta transattiva comunque sarebbe andata a buon fine nell’arco di due settimane ma l’AGCC ha sospeso la licenza ed il sito è andato off-line”. E’ stato l’inizio della fine…

“In quel momento non c’era più ragione per mantenere Bitar in carica, essendo le licenze revocate ma il peggio era oramai accaduto. I soci che spingevano per la transazione erano spariti”.

La società non era più operativa e non produceva più alcun tipo di entrata: “a quel punto – attacca Bloch – sono spariti tutti coloro che volevano essere nominati nel nuovo consiglio. Nessuno voleva più gestire la società”. C’era un’unica soluzione: vendere…

Fine seconda parte – continua

Full Tilt Poker, la verità: prima parte

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Editor in Chief Assopoker. Giornalista e consulente nel settore dei giochi da più di due decenni, dal 2010 lavora per Assopoker, la sua seconda famiglia. Ama il texas hold'em e il trading sportivo. Ha "sprecato" gli ultimi 20 anni della sua vita nello studio dei sistemi regolatori e fiscali delle scommesse e del gioco online/live in tutto il Mondo.
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