In un bell’intervento dal suo blog personale, il coach di CardRunners Brian Townsend ci parla della giusta mentalità di un giocatore vincente, e di quanto lui sia – nonostante tutto – ancora parecchio result-oriented.
“Oggi sono andato in palestra per la prima volta in un anno. Di solito mi alleno regolarmente, ma all’aperto. Stavo facendo un po’ di step quando ho notato che in TV stavano trasmettendo un vecchio torneo di poker. Ad un certo punto si vede un Pro che rilancia da middle-position con K-J offsuit. Gli altri fanno fold fino al tizio sul Big Blind che flatta con A-Q offsuit. Sul flop arrivano 8-6-2 con un flush draw. Il ragazzo fa check ed il Pro fa lo stesso. Il Turn è un K che non completa il colore ed i due fanno ancora check. Sul river scende infine un Asso e l’avversario fa una puntata: il pro chiama e poi quasi spacca il tavolo alla vista della mano dell’altro.
Che dire, a parte il modo infantile di reagire da parte di quel Pro, non ci sono troppi spunti interessanti in quanto vi ho raccontato. Però mi ha fatto pensare a come reagisco io a diverse situazioni nel poker.
Ad esempio, quando becco un set in un piatto 3-bettato (o anche 4-bettato) in un tavolo high-stakes, allora mi sale l’adrenalina alle stelle. Credo che mi succeda perchè il mio cervello già sa che se floppo top-set allora vincerò un bel po’ di soldi. Se la scrivo qui sul blog, però, la cosa mi sembra alquanto stupida: dovrei avere le stesse reazioni anche se becco una bottom pair, perchè il mio compito è quello di pensare a come giocare bene ogni singola mano a seconda delle informazioni in mio possesso.
Sfortunatamente non mi comporto come un robot e quindi le emozioni tavolta influenzano le mie decisioni. Probabilmente, in molti scenari, il come si gioca un set può avere un impatto trascurabile sul winrate, perchè una buona strategia è quella ci cercare di mettere nel piatto quanti più soldi possibile. Mentre il come si gioca una bottom pair o una mano A-high può avere forti ripercussioni sui guadagni, quindi rispetto allo studio dei big pot con top set, passerei 10 volte più tempo su come agire al meglio nei piccoli “noiosi” piatti.
Un’altra cosa che ho notato di me è che sono piuttosto result-oriented. Se gioco male una mano, ma vinco grazie alla fortuna, allora mi esalto. Ad esempio: se faccio una chiamata non corretta con un flush draw, ma chiudo poi il progetto al river, mi compiaccio con me stesso per l'ottima decisione. Dall’altro lato, mi sento male quando gioco in maniera perfetta ma qualcuno mi “scula”; tipo quando con AA riesco ad indurre un avversario a bluffarmi in all-in preflop e poi mi scoppia. Naturalmente se lo stesso fa l’altro, e sono io a scoppiarli gli assi, allora mi viene quasi da alzarmi a ballare.
Vorrei che le mie reazioni fossere l’opposto di queste. Quando gioco bene, ma perdo a causa di fattori esterni che io non posso controllare, vorrei darmi da solo una pacca sulla spalla piuttosto che imprecare qualcosa. Quando invece gioco male ma “sculo”, non provo vergogna, ma piuttosto gioia. E se poi l’ oppo neanche mi piace, godo ancora di più se è lui a spaccare la tastiera per la rabbia. Ecco, questo dimostra chiaramente quanto io sia result-oriented.
Un’altra prova di ciò è anche quando gioco in un modo che credo possa massimizzare il mio EV e poi perdo un piatto che avrei potuto vincere agendo in maniera diversa. Se per esempio centro un top-set e faccio solo call al flop, ed il mio avversario chiude un gutshot al turn e poi finiamo ai resti, mi sento davvero male. Comincio a ripetermi di aver giocato bene contro il suo possibile range di mani, ma c’è sempre una piccola parte di me che dice: “Cavolo, se avessi rilanciato al flop avrei vinto”. Come detto in precedenza, se lo scrivo sul blog mi sembra alquanto stupido avere pensieri del genere, ma lì da qualche parte nella mia testa ci sono ed ogni tanto saltano fuori.
Il mio obiettivo è allora quello di non mettere alcuna emozione nelle mie decisioni al tavolo da poker. Voglio agire per il meglio in base alle informazioni che ho in quel momento, e voglio trattarle tutte allo stesso modo, così da poter scegliere sempre la migliore che ho a disposizione. Voglio trattare ogni decisione come l’opportunità di fare la giocata corretta a prescindere dalla misura del piatto o dalle carte che ho in mano. Voglio focalizzarmi su tutti quegli aspetti che generalmente creano edge. Ma com’è il proverbio? “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Spero comunque di riuscire a cambiare qualcosa che migliori il mio gioco.”